II Domenica del Tempo ordinario (C)


ANNO C - 17 gennaio 2016
II Domenica del Tempo ordinario

Is 62,1-5
1Cor 12,4-11
Gv 2,1-11
(Visualizza i brani delle Letture)


MANCANZA DEL VINO,
SIMBOLO DELLA GIOIA

La prima lettura dal profeta Isaia cattura il lettore per la ricchezza delle immagini. Gerusalemme è una città buia e silenziosa, non significa più niente per nessuno; ma non è così per chi la ama, per Dio stesso che non si dà pace finché la luce e la vita non tornino nelle sue strade e lei possa risplendere di nuovo. È la presenza di Dio (giustizia e salvezza), che le ridanno luce. Gerusalemme illuminata diventa il segno di Dio, che tutti possono vedere. Ogni città, all'alba, quando il sole la colora, con le sue mura e le sue torri sembra una corona; così è per Gerusalemme che, per la bellezza e la gloria ritrovate diventa un segno di gioia. L'ultima immagine del brano ha una forza sconvolgente, perché paragona l'amore di Dio per la città a quello di uno sposo per una sposa, nel momento in cui l'amore si esprime con tutta la sua forza.
A che amore pensiamo quando parliamo dell'amore di Dio? Spesso ci affanniamo a definirlo e ci sfugge che nella Bibbia non ci si preoccupa di dare delle definizioni, ma di descriverlo. Nel disegnare quell'amore gli scrittori sacri non sono avari d'immagini e non hanno paura di usare anche quelle meno pudiche. Isaia dice che Dio vuole bene alle persone ed è capace di far forza alla luce perché non restino al buio; è proprio come un innamorato che non conosce ostacoli e per cui niente è troppo per far felice la persona amata. È un abbraccio appassionato. Chi ci pensa mai che sia così?

I cristiani di Corinto erano soprattutto preoccupati di distinguersi e, nel brano che si legge oggi, la divisione riguarda i doni personali di cui questa comunità era ricca. C'era una pioggia di Spirito Santo, che si manifestava nella straordinaria varietà di carismi. Succede che, piuttosto che meravigliarsi di fronte a questa fioritura, ognuno è preoccupato di promuovere il proprio dono come il più importante. Il dono dello Spirito non serve tanto alla costruzione della comunità, ma alla propria gloria. Paolo riporta questi Corinzi a riflettere che la fonte dei doni è una sola e che nessun dono ha forza se non manifesta la potenza dell'unico Spirito. Il dono è dato per decisione di Dio e non per merito di chi lo riceve.
Non è raro che anche nelle nostre comunità, i servizi si trasformino in riconoscimenti. Non è raro che si usi il linguaggio del premio per certi servizi più visibili o della punizione per altri che lo sono di meno. Non è nemmeno raro che in questa logica nascano delle frustrazioni in chi non riceve riconoscimenti e delle sindromi di onnipotenza in chi, invece, ne riceve molti e importanti. Penso che non ci siano categorie immuni da questo pericolo corinzio. Paolo fa riflettere che se le cose si vivono così, se i doni sono medaglie o di maggiore o minore valore, si perde di vista che è l'unico e medesimo Spirito che opera in tutti e dà efficacia alle azioni di tutti. Quando è così, e sembra che lo sia spesso, allora è un guaio perché senza la sorgente anche il fiume più gonfio diventa un pantano.
Le nozze di Cana sono definite dallo stesso Giovanni l'inizio dei segni compiuti da Gesù, una manifestazione della sua gloria che fa nascere la fede nei discepoli. Ci sono diverse figure che affollano questa scena. Sullo sfondo delle nozze, s'immaginano facilmente gli sposi e gli invitati, anche se non intervengono. Il personaggio più attivo è quello di Maria, la madre di Gesù, che mostra una consapevolezza molto forte della missione di Gesù. Lui deve ridare al popolo la gioia. Per molti commentatori Maria forza la mano a Gesù, gli descrive la condizione triste degli sposi e dell'umanità, simboleggiata dalla mancanza del vino, simbolo della gioia.
La risposta di Gesù per molti è la risposta di chi pensa che tutto sia ancora prematuro, per altri invece è una dichiarazione solenne che la sua ora è giunta, interpretando la frase sull'ora come un invito a Maria a fidarsi di lui, come se dicesse, non ti preoccupare, non lo sai che è giunta la mia ora? Gesù diventa il centro del racconto, ordina ai servi e compie il miracolo, che suscita la meraviglia del maestro di mensa. Anche i servi e il maestro sono personaggi sui quali ci si potrebbe fermare per interpretarne il ruolo. Comunque si legga questo brano annuncia che l'ora di Gesù è ora di salvezza, di gioia ritrovata.
L'ora della salvezza è inevitabile, arriva certamente; questo brano aiuta la speranza, soprattutto se si pensa che coloro che causano tutto, gli sposi, restano ignari di tutto. Inoltre il vino buono riempie i calici di tutti i commensali, anche loro inconsapevoli. Non ci sono meriti particolari da premiare, nemmeno i servi sembrano fare altro che obbedire, non pare che abbiano passato il tempo a interpretare quello che era accaduto.
C'è solo una persona consapevole, Maria, che si accorge del bisogno degli sposi e fa l'unica cosa che può fare, prega il figlio perché provveda; qualunque sia il modo di leggere queste righe, Maria forza la mano al figlio. Chi legge spontaneamente pensa a quale posto occupi in quella mensa; penso che il posto che appartiene al discepolo sia quello di Maria, perché un discepolo di Cristo sa di essere invitato alla mensa della vita come tutti, ma ha uno sguardo diverso, si accorge che manca qualcosa, che in molte vite manca la gioia. Un discepolo impara da Maria a pregare, a parlare a Gesù del bisogno della gente, non ha paura di forzare la mano a Gesù.

VITA PASTORALE N. 11/2015
(commento di Luigi Vari, biblista)

--------------------
torna su
torna all'indice
home