III Domenica del Tempo ordinario (C)


ANNO C - 24 gennaio 2016
III Domenica del Tempo ordinario

Ne 8,2-40.5-6.8-10
1Cor 12,12-30
Lc 1,1-44;4,14-21
(Visualizza i brani delle Letture)


GESÙ È LA BUONA
NOTIZIA PER TUTTI

Il testo di Neemia 8 è uno di quei brani che s'imparano quasi a memoria nello studio della Bibbia, perché descrive una grande liturgia della Parola. Il popolo è tornato a Gerusalemme, che è stata risistemata, poi ripopolata. La scena descritta è quella del momento in cui al popolo della città è ricordato che il loro fondamento è la Torah. Proprio perché è la costituzione del popolo, la Legge deve essere letta, tradotta, spiegata per essere da tutti compresa. Si possono immaginare tutte queste persone riunite in piccoli gruppi, che ascoltano e chiedono e cercano di capire come concretamente quello che ascoltavano potesse tradursi nella vita della città.
Gerusalemme ricostruita, e faticosamente ripopolata, è una città senza vita; la vita è la Parola che scorre come sangue nelle vene, raggiungendo tutte le persone che la, abitano e che, ci dice il racconto, piangono al sentirla. È come il pianto di chi ritrova una voce dimenticata, l'emozione di chi ritrova, dopo aver pensato di averla perduta per sempre, una persona amata. Non c'è solo ascolto e comprensione, ma anche l'emozione della Parola, che fa rinascere l'orgoglio e la dignità, tanto che questo è descritto come il giorno della nascita del giudaismo. Negli ultimi tempi molto è stato fatto per una migliore diffusione e comprensione della Parola; sul lato dell'emozione, però, cioè della vita del credente che ritrova nella Bibbia un punto di riferimento permanente, si ha l'impressione che qualcosa ancora manca.

La seconda lettura regala uno dei brani più conosciuti della letteratura paolina, quello della similitudine del corpo. La Chiesa è come un corpo in cui nessun membro può essere considerato di secondaria importanza, perché tutte le membra contribuiscono alla vita. La similitudine, che si ritrova anche nella letteratura extrabiblica, con riferimento all'organizzazione dello Stato, è evidente. Quello che è particolare in Paolo è la collocazione di Cristo nel corpo e non fuori di esso; la Chiesa cioè non è un'organizzazione che fa riferimento a Cristo, ma è il suo corpo. La legge delle membra, anche se Cristo è il capo del corpo, la parte più nobile, riguarda anche lui, anzi è lui che cura tutte le altre parti e protegge quelle più deboli e dà onore a tutte.
Siamo il corpo di Cristo: sembra un'affermazione distante dalla vita in maniera siderale. Eppure non è così astratta. Da quest'affermazione nasce la dignità di tutti, ma anche la responsabilità, poiché la sofferenza, la fragilità o, addirittura, la morte di un membro indebolisce tutto il corpo, indebolisce la presenza di Cristo nella storia. Non vale per la Chiesa, corpo di Cristo, l'affermazione che tutti sono utili e nessuno è necessario, anzi vale il contrario: ognuno è necessario. Dall'essere corpo derivano tante conseguenze, stili e comportamenti, capaci di mettere in discussione tanti modi di fare cui ci siamo assuefatti e che, invece, sono solo ridicoli come lo sarebbe l'occhio che dice alla mano: «Non ho bisogno di te». Questa similitudine, soprattutto in relazione alla cura e alla protezione che si deve alle membra più deboli, è un punto di riflessione e di verifica costante per una comunità cristiana.

Ci sono due poli molto importanti nella pagina del Vangelo che si legge in questa domenica: il primo è la motivazione che spinge Luca a scriverlo, cioè il desiderio, scegliendo lo stile dello storico, di dare una base certa alla fede di Teofilo, personaggio reale o immaginario, che comunque si caratterizza per cercare Dio in un ambiente ostile alla sua ricerca e alla predicazione cristiana. L'altro polo consiste nella predicazione di Gesù nella sinagoga di Nazaret: egli applica a sé la profezia di Isaia sul Messia. Quello che è molto importante nelle parole di Gesù è la dichiarazione: «Oggi si è compiuta questa Scrittura, che voi avete ascoltato». La salvezza di Dio è oggi, non è qualcosa da rintracciare solo nelle promesse o in un futuro vago, ma è oggi. Gesù è la presenza dello Spirito, è la buona notizia per quelli che hanno fiducia in Dio, è la liberazione e la luce, è la possibilità di ricominciare, di vedersi rimettere tutti i debiti, oggi.
Si legge questo Vangelo nell'anno giubilare della misericordia e le parole di Gesù che è venuto a proclamare l'anno di grazia e che quell'anno è oggi, possono servire per ricordare che per gli ebrei il giubileo era un richiamo alla verità che erano sulla terra donata loro da Dio; che loro erano di Dio e la terra era di Dio. Il giubileo consisteva nel ridare a tutti, anche a quelli che l'avevano perduta per propria colpa, un po' di terra per vivere. Il giubileo è un sogno, non sembra che sia stato mai realizzato se non una volta, ma è un sogno potente.

Cristo dice di essere venuto a proclamare l'anno di grazia, cioè a ricordare che tutti sono di Dio e che Dio ha cura di ognuno e vuole che ciascuno possa ritrovare, anche se li ha perduti per propria colpa, i tratti che danno bellezza e dignità alla vita. Dio che vuole rimettere ognuno nella possibilità di ripartire lo fa oggi, non si tratta più di un sogno, è realtà. Oggi, dice Gesù a quelli che lo guardano nella sinagoga, si è realizzata questa Scrittura. Possiamo immaginare le facce di quelli che passano dalla paziente attenzione che erano abituati a prestare alle promesse dei profeti, alla sorpresa incredula di fronte a Gesù che dice che tutto quello che erano abituati a sentire, è oggi.

VITA PASTORALE N. 11/2015
(commento di Luigi Vari, biblista)

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