V Domenica del Tempo ordinario (C)


ANNO C - 7 febbraio 2016
V Domenica del Tempo ordinario

Is 16,1-2a.3-8
1Cor 15,1-11
Lc 5,1-11
(Visualizza i brani delle Letture)


GESÙ E SIMONE
UN INCONTRO DECISIVO

Il testo del profeta Isaia introduce il lettore in una liturgia celebrata nel tempio cui assiste il giovane Isaia. È da un lato del tempio, con nel cuore le domande che nascevano dalla considerazione della situazione del popolo in quel tempo indicato con precisione. Il canto della preghiera, che proclama la santità di Dio, gli apre il cuore e gli suggerisce che proprio quella santità è la risposta alle sue domande. L'esperienza diventa forte; ha come una visione e smette di essere uno spettatore, diventa protagonista dell'azione, è proiettato nel consiglio di Dio; avverte la missione di essere suo portavoce, e, insieme, la straordinaria forza di Dio che lo rende capace di questo.
La differenza sta tutta lì, è la differenza della profezia e consiste nel passare dalla posizione di chi sta da una parte a guardare lo sviluppo degli eventi, facendo coro dentro di sé al lamento di quelli che non trovano nessun motivo di fiducia, oppure coinvolgendosi nelle cose, diventando protagonisti. A diventare portavoce di Dio, cioè a seminare le analisi delle vicende umane con il seme della speranza, s'impara, così suggerisce il testo di Isaia, nella preghiera che permette di vedere le cose con gli occhi di Dio. Soprattutto nella preghiera s'impara a non temere la propria fragilità e a non portarla a giustificazione della scelta di mettersi da parte.

Paolo, ormai a conclusione della sua lettera ai Corinzi, dopo aver esaminato tutti i problemi di quella comunità e sottolineato le risorse straordinarie che i Corinzi avevano a disposizione, affronta la radice delle difficoltà del loro cammino e suggerisce la soluzione. Attraverso una particolare costruzione del suo discorso, mentre sembra complimentarsi con i Corinzi, introduce il dubbio che essi si siano dimenticati del Vangelo. Approfitta per ridirlo con una bella sintesi di fede. Cristo è morto, è risorto, è apparso prima a Cefa, poi ai dodici, poi ad altri 500, infine anche a me. L'unica fatica che una comunità deve fare, l'unica sua preoccupazione è di non dimenticarsi di questo. Il riferimento probabilmente è ad alcuni movimenti di pensiero "cristiano", che volevano mettere tra parentesi il fatto della risurrezione. Paolo semplicemente dice che fare questo significa non essere più cristiani.
Tutto quello che si fa come cristiani e come comunità, tutta l'organizzazione, tutta la carità, la catechesi; tutto è fatto per trasmettere questo Vangelo, cioè la buona notizia, che Cristo è risorto. La risurrezione è l'energia della vita di fede e di testimonianza cristiana, il punto da cui tutto parte e su cui tutto si concentra. Di questa risurrezione non si può parlare come per sentito dire, la testimonianza suppone l'incontro con il Signore risorto, che avviene per ognuno in modo diverso, ma per tutti, come per il profeta Isaia, nella preghiera sia personale che comunitaria. Raccontare la risurrezione è il centro della testimonianza cristiana, se no abbiamo creduto invano. Quando questo non è chiaro, ci si concentra su altro, e, come per la comunità di Corinto, le cose più belle rischiano di snaturarsi. Quando, addirittura, ci si dimentica della risurrezione, ci si condanna alla frustrazione di fare cose che altri fanno meglio e con più mezzi.

Luca racconta la vocazione di Simone, che entra gradualmente in scena, all'inizio come il proprietario di una delle due barche che Gesù vede mentre insegna e che individua come un luogo possibile da dove insegnare. Nella barca Gesù vede una cattedra. Si mette a insegnare e poi chiede a Simone di prendere il largo e gettare le reti. L'esperienza di Simone e l'inesperienza di Gesù s'incontrano e sono superate dal consenso di Simone. Il racconto comincia a prendere un'altra strada, sulla barca cattedra, le parole di Simone non sono solo un consenso che il pescatore esperto dà a quell'uomo di terraferma, ma un atto di fede.
La pesca miracolosa conferma la fede di Simone, che si getta in ginocchio davanti a quello che è ormai il Signore, colmo di stupore e di timore, i sentimenti di chi riconosce la presenza di Dio. Si noterà com'è Simone che fa tutto, che decide di fidarsi, che fa gettare le reti in mare e fa la sua professione di fede. Le parole che Gesù gli rivolge sono il centro del racconto; non temere, gli dice, inserendolo nella serie di tanti che hanno ricevuto questo invito, ti farò pescatore di uomini. Simone sarà ancora pescatore, non deve cambiare la sua identità, però, come pescatore, sarà collaboratore di Cristo.

Di tutte le suggestioni che questo brano introduce, ce ne sono alcune attuali; la prima è quella dello sguardo di Gesù capace di trasformare una barca in cattedra, il pescatore Simone in Simon Pietro, e lo stesso sguardo di Simone che vede in Gesù non più solo un maestro, uno che può dare degli ordini, ma il Signore. Colpisce pure come in tutte queste trasformazioni, la barca resta barca, il pescatore resta pescatore e i suoi operai, pur se coinvolti in questa storia straordinaria, restano tali. Una descrizione molto sobria della vocazione di ogni cristiano, che per essere collaboratore di Cristo non deve smettere di essere quello che è. Prima di tutto un uomo.
L'insistenza sulla fede che trasforma i dati dell'evidenza, l'insistenza sul molto come cifra del risultato, sono inoltre un richiamo forte alla speranza.

VITA PASTORALE N. 1/2016
(commento di Luigi Vari, biblista)

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