Tutti i Santi

La Parola
Commento di Cettina Militello
Vita Pastorale (n. 9/2016)



ANNO C – 1° novembre 2016
Tutti i Santi

Ap 7,2-4.9-14
1Gv 3,1-3
Mt 5,1-12a
(Visualizza i brani delle Letture)


TUTTI LAVATI NEL
SANGUE DELL'AGNELLO

Ho scoperto assai presto, grazie a una avveduta catechista, la costitutiva mia santità di battezzata. Erano gli anni' 50 e il Concilio ancora tutto a venire! Quell'emozione mi accompagna ancora nella solennità di Tutti i Santi che vivo non come festa dei "santi in cielo", ma come festa di tutti noi santificati dalla divina figliolanza. Quella di oggi è la festa della Chiesa, degli hoi aghioi, di quanti costituiamo la communio sanctorum.
La prima lettura ci propone alcuni versetti tratti dal capitolo 7 dell'Apocalisse. Nell'incedere visionario che lo caratterizza, il veggente di Patmos introduce il tema del sigillo. Non diversamente dall'antico popolo, anche il nuovo è un popolo di "segnati". Il loro numero è immenso. Il simbolico centoquarantaquattromila ha questa valenza amplificante. Una folla infinita di ogni nazione, tribù, popolo, lingua... Nei nostri giorni dissennati di frontiere chiuse e guerre combattute pur senza essere state dichiarate, colpisce la sinonimia concettuale di termini disgiuntivi quali, appunto: nazione, tribù, popolo, lingua.
Nella visione, tutti costoro, biancovestiti, acclamano l'Agnello. Nel dispiegarsi della solenne liturgia - tale è appunto l'Apocalisse - una domanda retorica scioglie il dubbio relativo alla loro identità: sono coloro che hanno lavato le loro vesti nel sangue dell'Agnello e sono passati attraverso la grande tribolazione. Certamente si tratta dei martiri, ossia di quelli che hanno portato alla radicalità estrema la fedeltà all'Agnello. I primi che la comunità ha onorato, assai prima d'identificare figure altre emblematiche e paradigmatiche, esemplari nella sequela. Ma, poiché, il sangue dell'Agnello ci ha lavati, in qualche modo apparteniamo già a quella folla immensa, poiché siamo stati sepolti con Cristo per risorgere con lui, siamo stati sigillati nel suo sangue. La visione designa scenari finali che sono attivi già qui e ora, nella reciprocità del Corpo di cui tutti e tutte siamo membra.

Se nutrissimo qualche dubbio circa il nocciolo duro della solennità di Tutti i Santi, a sciogliercelo è la seconda lettura tratta dalla prima lettera di Giovanni. Certo resta vivo lo stacco tra ciò che è già e ciò che avrà compimento, ma quanto oggi ci viene proposto esalta ciò che già ora siamo, condizione ineludibile di ciò che saremo in pienezza. Infatti siamo già figli, e lo siamo realmente. L'amore di Dio ci ha resi tali. È la sua vita stessa ciò di cui siamo partecipi. Se appartiene alla condizione finale vederlo quale egli è, resta lo stupore dell'essere figli, condizione sine qua non di quell'essere simili a lui che oggi è oggetto della nostra speranza. La liturgia insomma delinea scenari escatologici, ma l'hodie, l'hic et nunc che la caratterizza descrive la condizione già nostra, appunto, oggi, qui e ora.
Cose tutte di cui è espressione piena Mt 5, 1-12a. L'insegnamento di Gesù, perché di questo si tratta, lo propone come nuovo Mosè. È evidente nella mens di Matteo il parallelismo tra il discorso di Gesù sul monte e la consegna sul monte delle dieci parole. Superfluo rilevare come il "monte" rappresenti il luogo del farsi prossimo di Dio, il luogo dove egli parla al suo popolo. Nel caso di Gesù quanto egli dice è nel segno della beatitudine. I suoi sono nove macarismi, ossia nove affermazioni di beatitudine relative a gruppi o tipologie di persone: "i poveri in spirito", "quelli che piangono", "i miti", "quelli che hanno fame e sete di giustizia", "i misericordiosi", "i puri di cuore", "gli operatori di pace", "i perseguitati per la giustizia", i discepoli stessi insultati e perseguitati a causa del suo nome.
Il tutto si chiude con una esortazione ulteriore alla gioia perché proprio questi ultimi avranno una ricompensa più grande... Si potrebbe certo entrare nel dettaglio delle beatitudini. Esse non sono un contentino escatologico, un rinvio consolatorio a una situazione di là da venire. Ognuno dei gruppi considerati appare nel segno di un rovesciamento, indipendentemente dal fatto che esso avvenga nell'immediato o nel futuro. Ciò che si evince è che Dio non è dalla parte dei potenti. Dio è dalla parte di chi è emarginato.

Sarebbe certamente utile mostrare il filo rosso che lega le beatitudini l'una all'altra, soprattutto riconducibile alla giustizia e alla pace. Ci limitiamo, però, a evocare soltanto la beatitudine relativa alla misericordia: «Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia". Sembrerebbe una affermazione tautologica. Non lo è in verità, perché fa appello a una dinamica di reciprocità. L'attenzione all'altro, il prendersene cura, il fare piccolo il cuore per far spazio al cuore dell'altro comporta in ultima analisi sperimentare e vivere in prima persona la misericordia come attitudine propria di Dio, del suo chinarsi verso le creature. Essere misericordiosi come Dio è misericordioso; essere misericordiosi perché Dio è misericordioso: questa è la traduzione operativa della santità a tutti e tutte noi donata.
Le beatitudini dunque nel segno dell'alacrità, dell'impegno, dell'imprimere al mondo i valori della giustizia, della solidarietà, della pace, della consolazione, della mitezza. Si tratta di vedere con gli occhi di Dio e d'agire secondo le sue priorità, facendo ne propri i sentimenti, le attenzioni, lo stile. La beatitudine di noi peregrinanti è eco graziosa del suo mistero e attesa fattiva di parteciparvi in modo definitivo e pieno. Questo, appunto, con gioia oggi celebriamo.


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