Intervista a Mons. Massimo Camisasca,
Vescovo di Reggio Emilia-Guastalla



Intervista a Mons. Massimo Camisasca, Vescovo di Reggio Emilia-Guastalla
L'Amico del Clero, n. 6 Giugno 2016

Mons. Camisasca, come giudica per la Chiesa in generale, e per la diocesi di Reggio Emilia-Guastalla in particolare, il ripristino del diaconato permanente?

Il ripristino del diaconato permanente, voluto dal Concilio Vaticano II, ha rimesso in luce nella Chiesa una figura di ministro ordinato che era andata perduta nei secoli, almeno come espressione viva e vitale, ed era rimasta soltanto un punto di passaggio obbligato verso il presbiterato. Riaprire la strada al diaconato permanente ha voluto dire riscoprire nella Chiesa una nuova figura legata al servizio della carità, al servizio liturgico e alla catechesi, ma soprattutto rimettere in primo piano il diaconato come imitazione di Cristo al servizio del suo Corpo che è la Chiesa. Il diacono – si dice nella mia diocesi – è colui che sta sulla soglia, che accoglie e rilancia le persone nel mondo, colui, dunque, che costituisce un tramite tra la preghiera, la celebrazione liturgica, la carità vissuta e le varie professioni laiche, anche perché egli vive nel mondo, sposato o no, attraverso una professione civile.

Quali requisiti ritiene siano indispensabili per un candidato al diaconato permanente?

Innanzitutto che egli abbia coscienza di essere una persona chiamata da Dio – e non semplicemente da una comunità – a quel compito così importante nella vita della Chiesa locale. È chiamato perciò a prendere coscienza di questa vocazione e ad alimentarla.
Il diacono deve essere un uomo di preghiera, di meditazione della Sacra Scrittura. Un uomo che ha consapevolezza delle verità fondamentali della fede e della vita cristiana attraverso lo studio, meno esigente di quello richiesto per il cammino verso il presbiterato, ma pur sempre capace di portare la mente del diacono a una sintesi chiara, come quella che ci è offerta nel Catechismo della Chiesa Cattolica.
Deve essere un uomo che sa parlare, forse e più ancora che con le parole, con la propria vita. Deve essere un uomo appassionato degli uomini, soprattutto dei piccoli, dei bisognosi, di coloro che sono feriti, che hanno necessità di essere incontrati. Deve essere veramente colui che va in cerca di chi è perduto.
In lui convivono diverse vocazioni: talvolta quella matrimoniale, poi la vocazione a una professione, la vocazione genitoriale se è sposato. Quindi deve essere anche un uomo dotato di buon equilibrio, di grande umiltà, serenità, capacità di perdono e ripresa continua.

Quale cammino formativo (umano, spirituale, teologico, liturgico e pastorale) è attualmente previsto nella sua diocesi per chi diventa diacono?

Dopo che la persona è stata indicata ed ha, attraverso un severo discernimento, riconosciuto questa indicazione come vera per sé, inizia un periodo di verifica con un sacerdote delegato del vescovo, che può durare uno o due anni. Terminato questo periodo ha luogo un periodo di studio, una sera alla settimana, un periodo di formazione nelle principali materie delle discipline filosofiche e teologiche e, nello stesso tempo, assieme agli altri aspiranti al diaconato viene accompagnato da un altro sacerdote, delegato dal vescovo per la formazione spirituale, liturgica e pastorale dei diaconi. Lungo questo periodo avviene l'ammissione verso l'ordinazione e poi, a suo tempo, l'ordinazione stessa.
È un periodo, di almeno 4 anni, che intende rispettare il cammino e la maturazione di ciascun candidato. Si è istituita in diocesi una commissione per il diaconato che funge anche da commissione ad ordines per aiutare il vescovo nel discernimento su queste vocazioni.

Come fare per superare eventuali resistenze da parte degli altri membri del clero nei confronti del diaconato permanente?

Penso che la strada migliore sia quella di una vita, da parte dei diaconi, piena di umiltà, di collaborazione, di disponibilità vera al servizio e anche di comunione vissuta con i laici e con il clero.

Quale tra i classici compiti diaconali (carità, catechesi/evangelizzazione e liturgia) le sembra necessiti di maggior valorizzazione rispetto a quanto avviene oggi nella diocesi d Reggio Emilia-Guastalla?

Penso che i diaconi possano avere un posto importante nella vita liturgica delle nostre comunità – e devono perciò avere una preparazione adeguata in questo ambito – così come anche nell'evangelizzazione, che richiede uno studio e un aggiornamento continui.

Quanti sono e quale futuro immagina per i diaconi permanenti della sua diocesi?

Attualmente sono 105. Immagino per loro un futuro sempre più importante. La nostra diocesi si sta strutturando in una sessantina di unità pastorali. Immagino al centro di ognuna di esse una comunità di presbiteri, diaconi e laici, con varie forme di vita comune. Ma per poter agire assieme, è importante maturare il nostro essere assieme, essere stati chiamati assieme, essere stati istituiti assieme. La vita comune alimenta ogni giorno la nostra conversione. Nello stesso tempo ci dà l'anticipo della vita futura e costituisce il fondamento della nostra missione.

Quali iniziative ritiene si possano intraprendere, a livello di pastorale vocazionale diocesana, per incrementare il numero di diaconi permanenti?

Gli stessi diaconi sono la forma precipua di pastorale vocazionale. Talvolta sono chiamati nelle parrocchie proprio a parlare del loro servizio, per suscitare eventuali vocazioni che Dio abbia a sua volta seminato e per varie ragioni rimangano sepolte nei cuori degli uomini.


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