IV Domenica di Avvento (A)

La Parola
Commento di Cettina Militello
Vita Pastorale (n. 10/2016)



ANNO A – 18 dicembre 2016
IV Domenica di Avvento

Is 7,10-14
Rm 1,1-7
Mt 1,18-24
(Visualizza i brani delle Letture)


NASCITA E ORIGINE
DIVINA DI GESÙ

Al cuore della quarta domenica d'Avvento c'è l'annuncio della nascita del Messia. Nell'anno in cui leggiamo Matteo il brano evangelico propone l'annuncio a Giuseppe. Ed è evento simmetrico alla prima lettura. In essa il profeta Isaia annuncia al recalcitrante Acaz un evento che ha i caratteri del" segno": una giovane donna ('almâ) della famiglia reale attende un figlio cui verrà dato il nome di Emmanuele. La situazione del regno di Giuda è in quel momento drammatica. Acaz, che ne è il sovrano, appare piuttosto incline all'incredulità. Ed è contro la sua mancanza di fede che il profeta assicura la protezione e benevolenza di Dio attraverso l'annuncio della nascita di un figlio della stirpe di Davide, probabilmente Ezechia, il sovrano restauratore del tempio e riformatore del culto.
Troviamo corrispondenza, sulla stessa linea del messianismo davidico, nella seconda lettura, tratta dai primi versetti della lettera ai Romani. Paolo rivendica d'essere stato scelto per annunciare il Vangelo di Dio «che riguarda il Figlio suo, nato dal seme di Davide secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santità, in virtù della risurrezione dai morti…». Sappiamo che Paolo non ci trasmette il nome della madre di Gesù, né pare conoscere tradizioni che la riguardano. Se il "nato da donna" di Gal 4,4 non ha, con tutta probabilità, valenza mariologica, vi si afferma però come nel versetto di Rm 1,3 che finiamo di citare, la compiutezza carnale dell'Incarnazione.

Il testo evangelico esordisce: «Così fu generato Gesù Cristo». I primi versetti del capitolo 1 ne hanno proposto la genealogia sino a «Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo». Ora appunto è delle modalità di questo evento che l'evangelista vuol dar conto. La madre si trova incinta, per opera dello Spirito Santo, prima che abbia iniziato la convivenza con il promesso sposo. Questi vorrebbe ripudiarla in segreto. Maria è agli effetti legali adultera ma ripugna a Giuseppe, "uomo giusto", esporla alle sanzioni previste dalla Legge (cf ad esempio Lv 20,10). Da qui l'intervento angelico.
Matteo elabora il racconto avvalendosi di uno schema letterario ben presente nell'Antico Testamento, quello dell' "'annunciazione''. In esso sono evidenti quattro elementi: il nome e la qualifica di colui che riceve l'annuncio, l'ordine che gli viene notificato, la sua spiegazione e, a conclusione, l'annuncio della nascita e la spiegazione del nome del nascituro. L'angelo chiama per nome Giuseppe, lo qualifica figlio di Davide, gli ingiunge di prendere con sé Maria perché il bambino generato in lei viene dallo Spirito Santo. Del bambino indica il nome e spiega che sarà chiamato Gesù perché «salverà il suo popolo dai suoi peccati». Ed evoca le parole del profeta Isaia che Matteo rielabora mettendo insieme la traduzione dei LXX e il testo ebraico. La chiave di volta è data dal termine parthènos, vergine, con cui già i LXX hanno tradotto l'ebraico 'almâ. Non meno importante nella prospettiva dell'adempimento della profezia messianica è la densità teologica del nome: Emmanuele vuol dire "Dio con noi", Gesù "il Signore salva". Destatosi, Giuseppe obbedisce all'annuncio e prende con sé Maria senza avere rapporti con lei sino alla nascita del bambino che chiamerà Gesù.

L'evangelista dà una densità particolare, cristologica, al vaticinio di Isaia. E, d'altra parte, questo è il suo intendimento: dar conto dell'origine divina di Gesù. La sua nascita, se inserita nella linea della discendenza davidica per via paterna, è segnata da una rottura che non lo lega a Giuseppe sulla linea del sangue, ma direttamente lo connette alla madre che lo concepisce in modo prodigioso. Ciò avviene per la salvezza di Israele. Dunque l'atteso è in senso stretto il Messia davidico, ma è insieme il Figlio di Dio. Probabilmente Matteo conosce tradizioni che riconducono Gesù alla sua famiglia d'origine, e tradizioni che attestano un concepimento irregolare. Egli le amalgama per avvalorare la sua visione cristologica. E, a supporto, il ricorso alla citazione di Is 7,14: le modalità della nascita di Gesù mostrano il compiersi delle Scritture.
Non è facile raccontare agli uomini e alle donne d'oggi l'origine e la nascita di Gesù. Le stesse tradizioni che Matteo accoglie, le stesse appassionate parole di Paolo, ci riportano alle domande che generazioni e generazioni si sono poste: com'è possibile che Dio irrompa nella nostra carne? Cosa c'è di plausibile in questo intreccio che vuole salvare ad ogni costo la sua irriducibile trascendenza e insieme lo vuole compagno nostro nella carne? L'evangelista scioglie a suo modo queste domande. Dio interviene nella nostra storia, la segna, l'orienta. Gesù non è un masso erratico. La sua nascita s'inserisce nella storia del suo popolo. Ha i tratti di altri interventi prodigiosi di Dio. Risponde alle attese d'Israele. Si compie «ciò che [Dio] aveva promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sacre Scritture», afferma Paolo in Rm 1,2.
Se prendiamo sul serio gli epiteti con i quali egli saluta i membri della comunità di Roma («amati da Dio e santi per chiamata») ci rendiamo ulteriormente conto che il farsi carne del Figlio non ha altra logica se non quella dell'amore. Il Dio con noi ci redime e salva. L'accoglierlo ci connota come amati e partecipi della sua santità.


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