Battesimo del Signore (A)

La Parola
Commento di Cettina Militello
Vita Pastorale (n. 11/2016)



ANNO A - 8 gennaio 2017
Battesimo del Signore

Is 42,1-4.6-7
At 10,34-38
Mt 3,13-17
(Visualizza i brani delle Letture)


ANCHE NOI SIAMO
DIVENTATI "FIGLI"

La denominazione della festa, a partire dal battesimo, non minimizza o parcellizza l'evento, piuttosto vuole proporcelo nella sua totalità. Infatti, un gesto rituale di purificazione diventa anche il contesto della proclamazione da parte del Padre dell'identità di Gesù come "il Figlio, l'amato». La presenza dello Spirito sigilla la "teofania", ossia il manifestarsi di Dio Padre, Figlio, Spirito all'inizio del ministero di Gesù.
I testi preludono e testimoniano l'evento. Ascoltiamo così una selezione di versetti dal primo canto del servo del Signore, figura misteriosa - secondo alcuni lo stesso Deutero-Isaia - nella quale la tradizione cristiana ha intravisto Gesù di Nazaret. Le parole del profeta sono nel segno della consolazione. Nella forza dello Spirito su di lui elargito, il servo del Signore porterà a termine la missione che gli è stata affidata. Chiamato, preso per mano, formato da Dio stesso, è «stabilito come alleanza del popolo e luce delle nazioni» per aprire gli occhi ai ciechi, liberare i prigionieri, restituire a libertà coloro che abitano nelle tenebre.
Gesù si approprierà dei tratti del servo sofferente (cf Mt 16,21) e indicherà la presenza dello Spirito come segno della sua identità messianica (cf Lc 4,18-21). Nel contesto della celebrazione odierna, di questa lettura sono da sottolineare sia il riferimento allo Spirito, sia il compito salvifico affidato al servo del Signore.

La seconda lettura è tratta dal libro degli Atti. In questo straordinario reportage sulla Chiesa delle origini - un ritratto di famiglia, in parte edulcorato - la prima parte, nel proporre le vicende della giovane comunità, vede in primo piano la figura di Pietro. Il brano di oggi è tratto dal terzo e ultimo dei suoi discorsi, quello legato alla vicenda di Cornelio, un centurione romano.
Ascoltiamo così le parole con cui Pietro scioglie pubblicamente il dubbio circa la legittimità di ammettere nella comunità persone fuori dalla cerchia d'Israele: «Dio accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga». Gesù, il Signore di tutti, è la Parola che Dio ha inviato ai figli d'Israele annunciando per suo mezzo la pace. L'autorevolezza di Pietro è fuori discussione. Il suo battezzare Cornelio (e la sua casa) è consequenziale al discendere dello Spirito su quanti stanno ad ascoltarlo, pagani inclusi.
Della complessità dell'episodio che abbraccia tutto intero il capitolo 10, la liturgia oggi propone l'affermazione solenne di partenza, quella che riassume il credo primitivo della comunità circa l'agire di Gesù cominciando dalla Galilea, dopo il battesimo di Giovanni. Pietro attesta come Dio lo ha consacrato «in Spirito Santo e potenza». L'inizio del ministero messianico è così ricondotto alla presenza-potenza, alla forza dello Spirito: Gesù è l' "unto", il Messia atteso.

La lettura evangelica ci riconduce anch'essa all'inizio del ministero di Gesù. Giovanni predica un battesimo di penitenza e Gesù va da lui per essere battezzato. Il dialogo tra i due consente di rimarcarne i diversi ruoli. Giovanni è perplesso, ma Gesù lo invita: lascia fare ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia. Nel vangelo di Matteo ritornano più volte sia il verbo compiere che il termine giustizia. In quest'ultimo confluirebbero due diverse connotazioni: la volontà di Dio che rivela e attua il suo progetto, l'accoglimento dello stesso da parte dell'uomo. Le parole di Gesù manifesterebbero il suo pieno aderire alla volontà di Dio. È il progetto del Padre che Giovanni e Gesù qui mostrano di accogliere. Lo sancisce solennemente la teofania che segue il "risalire" di Gesù dalle acque - movimento simmetrico al "discendere" dello Spirito su di lui - mentre una voce dal cielo lo identifica come il Figlio, l'amato, colui nel quale il Padre ha posto il suo compiacimento. Non è difficile riscontrare elementi già presenti nell'Antico Testamento.
Entrano in gioco i "cieli" - dimora dell'Altissimo - e la "voce", veicolo del suo manifestarsi. Entra in gioco lo Spirito del quale in verità non si dice che discende "in forma" ma "come" una colomba. La voce evoca le parole del Sl 2,7 e insieme quelle di Is 42,1. Siamo dinanzi a un'investitura messianica, investitura "carismatica" in senso stretto per la presenza dello Spirito sull'eletto, il figlio/servo amato. Nella nostra iconografia l'idea, la modalità del movimento passerà all'emblema della colomba, uno dei tanti nella fatica inesausta di dar figura allo Spirito, colui che è senza nome e senza volto e, tuttavia, senza il quale nessuna azione è possibile. La presenza, l'unzione dello Spirito consacra l'ufficio messianico di Gesù. Da questo momento in poi egli agirà, mosso dallo Spirito, con parole e segni, «beneficando e risanando tutti [...] perché Dio era con lui», secondo le parole di Pietro in At 10,38.
Di certo nella rielaborazione dell'episodio gioca la valenza che il battesimo ha nella nascente comunità cristiana. Nel battesimo di Gesù essa proietta il suo stesso vissuto e la teologia che vi soggiace. Ci è perciò giocoforza in questo giorno riandare al nostro battesimo. In esso, nella sua acqua salutare, anche noi siamo divenuti "figli", "amati", oggetto di compiacimento. Anche noi siamo stati segnati, sigillati dallo Spirito. L'unzione messianica tutti ci rende re sacerdoti e profeti. Tutti ci fa responsabili operatori di giustizia e di pace.


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