Epifania del Signore

La Parola
Commento di Cettina Militello
Vita Pastorale (n. 11/2016)



ANNO A - 6 gennaio 2017
Epifania del Signore

Is 60,1-6
Ef 3,2-3a.5-6
Mt 2,1-12
(Visualizza i brani delle Letture)


GUIDATI DALLA STELLA
I MAGI TROVANO GESÙ

La solennità dell'Epifania celebra il manifestarsi del Signore alle genti. A Natale ne abbiamo visto la manifestazione ai pastori, infimi socialmente quanto si vuole, ma figli di Abramo; ora invece ad adorare il bambino sono personaggi non meglio identificati, che vengono dall'Oriente. Il filo conduttore è quello della gloria, del manifestarsi della gloria. Dio ci si mostra ed è la luce a veicolarne e significarne la presenza. Se un tempo ciò avveniva in una sorta di corsia preferenziale, ora a fruirne sono le genti tutte, nessuna esclusa. Quest'ansia di oltrepassare i confini, di sperimentare la presenza e la benevolenza di Dio in una sorta di felice convergenza che accoglie il dono proprio a ciascuno, anima la prima lettura tratta dal Terzo Isaia. Il profeta - i cc. 60-62 sono caratterizzati da un'istanza di consolazione e sostegno nei confronti dei reduci dall' esilio - descrive con toni enfatici la città santa pervasa dalla presenza del suo Dio.
La luce che la riveste diventa luce per tutti i popoli, che avanzano verso di lei. Nella gioia non solo l'incedere dei suoi abitanti, ma il riversarsi sulla città della ricchezza delle genti. Ed ecco: «Tutti verranno da Saba, portando, oro e incenso e proclamando la gloria del Signore». È a ragione di quest'ultimo versetto che Is 60,1-6 trova posto nella nostra celebrazione. Ma oltre l'evocazione di questi doni, sta l'elargizione della salvezza, affidata alla metafora della gloria e della luce.

Questo è il nocciolo duro del "mistero" tematizzato dalla seconda lettura. L'autore della Lettera agli Efesini parla del mistero della grazia di Dio di cui egli è tramite. Mistero a lui noto per rivelazione. È questo uno degli innumerevoli luoghi dell'epistolario paolino in cui il termine appare. Il "mistero" è niente altro che il disegno divino di salvezza che viene manifestandosi, anzi che viene rivelato, progressivamente.
Nel brano oggi proclamato, nel tramite dello Spirito, esso è rivelato ai santi apostoli e profeti. Per importante che sia il loro ruolo, più importante ancora è l'oggetto del "mistero": le genti tutte sono chiamate a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo, ad essere partecipi della stessa promessa. La verità del Vangelo, la chiamata in Cristo Gesù, non conosce più discriminazioni. E le espressioni qui usate: eredità, corpo, promessa, pur nella loro diversità, convergono nel disegnare la condizione dei credenti, i quali indipendentemente dalla loro appartenenza etnica, sociale, religiosa, sono alla pari destinatari dell'annuncio. Se un tema qui prevale è quello dei pagani i quali compartiscono con l'antico popolo la stessa eredità, la stessa promessa e sono chiamati a costituire un solo e medesimo corpo. Proprio la Lettera agli Efesini al capitolo 2,14-16 evoca la dinamica del farsi un solo corpo dei due popoli, giudei e gentili, nel tramite della croce. "Popolo" evoca identità e appartenenza; "corpo" la mutualità delle membra. Si tratta in entrambi i casi di espressioni di tipo relazionale, volte a far comprendere l'interconnessione, oltre ogni criterio disgiuntivo, di quelli che appartengono alla comunità dei salvati in Cristo. La salvezza di cui parliamo è, dunque, diretta all'umanità intera; indica un disegno misterioso e nascosto di Dio.

La lettura evangelica si colloca su questa linea e tesaurizza quanto proposto nella lettura profetica e nella lettura apostolica. Ciò che ascoltiamo, tratto dal vangelo matteano dell'infanzia, è il racconto relativo ai Magi che il sorgere di una stella ha guidato sino a Gerusalemme. Sono loro il paradigma di una salvezza che non conosce confini ma è rivolta a tutti, nessuno escluso. Il testo meriterebbe molteplici attenzioni: ad esempio il tema della stella, l'identità dei "Magi", il tema del cammino... per non parlare degli stereotipi relativi a nascite singolari già presenti nell'Antico Testamento. Ci limitiamo a sottolineare l'intenzionalità di Matteo affidata a uno schema compositivo che procede per opposizioni. Al cuore dell'episodio sta il riconoscimento dell'identità messianica del bambino. Lo cercano "per adorarlo" questi saggi/maghi venuti dall'Oriente.
Gli si oppongono i suoi, Erode innanzitutto. Questo diverso atteggiamento indica già il conflitto, particolarmente avvertito nel vangelo di Matteo, tra la comunità giudaica che non riconosce Gesù come il Messia e le genti che, invece, lo accolgono come Salvatore. A riprova della messianicità del bambino sta la testimonianza della Scrittura di cui l'evangelista si avvale, modificando leggermente la profezia di Mi 5,1 relativa alla sua nascita a Betlemme. In certo qual modo i Magi sono stati guidati da un segno celeste, ma nella loro ricerca li guida anche la parola di Dio indicando loro il luogo dove il "re dei giudei" è nato. Essi ci diventano dunque anche modello di quell'attitudine complessa che deve animare il credente nella ricerca della Verità, paradossalmente incarnata nel Dio bambino.
A quest'ultimo i Magi portano in dono «oro incenso e mirra». In essi la tradizione cristiana ha visto declinata la sua identità. Non a caso l' "orazione sui doni" chiede: «Guarda, o Padre i doni della tua Chiesa che ti offre non oro incenso e mirra, ma colui che in questi santi doni è significato, immolato e ricevuto: Gesù Cristo, nostro Signore». L'oro infatti ne manifesta la regalità, l'incenso la divinità; la mirra ne attesta l'umanità.


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