Domenica di Pasqua (A)


La Parola
Commento di Cettina Militello
Vita Pastorale (n. 3/2017)



ANNO A - 16 aprile 2017
Domenica di Pasqua

At 10,34a.37-43
Col 3,1-4 [1Cor 5,6b-8]
Gv 20,1-9
(Visualizza i brani delle Letture)


DAL RISORTO
NASCE LA NUOVA VITA


La celebrazione della Pasqua sia dal punto di vista pastorale che dal punto di vista spirituale è davvero il culmine dell'anno liturgico. Occorrerebbe introdurre alla Veglia, alle sue letture, e richiamare il perché nel corso del giorno la comunità celebri più volte l'eucaristia variando le letture. Così, ad esempio, la messa vespertina senza il vangelo di Emmaus ferisce la densità di questo giorno da vivere ora per ora nel segno della gioia e della progressiva esultante scoperta che il Signore è veramente risorto.

La messa propone tre letture, tutte e tre dal Nuovo Testamento. Gli Atti, innanzitutto, ci guidano alla comprensione della Chiesa nella sua nascita e nel suo sviluppo a partire dall'evento pasquale. Il brano oggi proclamato ripropone alcuni versetti del terzo e ultimo discorso kerygmatico di Pietro. Inserito nell'episodio riguardante il centurione Cornelio, legittima, di fatto, l'ingresso, anche dei pagani, nel popolo dei credenti in Cristo. Ascoltiamo, condensato, il racconto degli eventi relativi a Gesù, dal battesimo al Giordano, tutt'uno con la sua unzione messianica, sino alla morte di croce e alla risurrezione al terzo giorno. Nell'arco di pochissime righe viene evocata la forza guaritrice di Gesù, il suo potere liberante; il paradosso salvifico della sua morte di croce in antitesi con la maledizione di Dt 21,22. La risurrezione, attestata da «testimoni prescelti da Dio» che con Gesù hanno «mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti», è l'atto con cui Dio porta a termine la sua opera di salvezza e annuncia il perdono dei peccati.

Due le proposte per la seconda lettura: Co13, 1-4 (esortazione ad acquisire sempre più la condizione di risurrezione conseguente al battesimo); 1Cor 5,6-8, sulla quale ci fermiamo per l'evidente prossimità alla Pasqua nella sua matrice ebraica. Gli esegeti leggono questi versetti come una sorta di omelia pasquale inserita nel corpo della lettera. In effetti ad essere evocato è il lievito assolutamente bandito nel contesto della celebrazione della Pasqua in memoria del pane cotto frettolosamente la notte dell'esodo. Il lievito è ambivalente. In contesto parabolico la sua capacità di fermentazione ne ha fatto metafora della crescita del regno di Dio (cf Lc 13,20-21). Qui, invece, con altra valenza, evoca la corruzione. I cristiani devono lasciare il vecchio lievito perché "azzimi". La Pasqua di Cristo li ha resi tali. Da qui l'esortazione a celebrare la Pasqua con sentimenti e atteggiamenti lontani da malizia e perversità, ma appunto con sincerità e verità, ossia manifestando la condizione nuova, l'integrità loro donata, di cui è figura il pane non lievitato.
Di Gv 20, che narra gli eventi relativi al "primo giorno della settimana", la lettura evangelica omette scelta davvero infelice! - l'incontro e il dialogo di Gesù con Maria Maddalena (vv. 11-18). Si tratta di un testo di altissima valenza simbolica, nel quale, in aggiunta, si manifesta lo spessore del rapporto tra Gesù e l'Apostola apostolorum nonché la specialissima rilevanza del compito a lei assegnato. Nei versetti 1-9, oggi proclamati, la vediamo recarsi, prima dell'alba, al sepolcro la cui pietra trova rovesciata. Era usanza comune quella di seppellire in un incavo della roccia, naturale o scavata per quest'uso, e l'imboccatura veniva chiusa da una grossa pietra.
La reazione di Maria è di sgomento. Essa corre da Pietro e dal «discepolo che Gesù amava» per comunicare loro quello che le appare come un furto. I versetti che proclamiamo ci mostrano la corsa dei due, più veloce il giovane, più lento Pietro. Davanti ai loro occhi, ben composti, i teli che ricoprivano il cadavere e il sudario che ne copriva il volto. In un curioso cerimoniale che lascia supporre un conflitto tra la comunità petrina e quella giovannea, il discepolo che Gesù amava osserva ma non entra. Cede il passo a Pietro e, soltanto dopo che questi è entrato, entra anche lui. Il testo ci dice: «E vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, cioè che egli doveva risorgere dai morti».

Ben oltre la relazione che corre tra i due e sembra già assegnare a Pietro una condizione di maggior prestigio, le parole che finiamo di citare ci mettono dinanzi al momento iniziale del nostro credere. Esso si fonda su questo "vedere", ossia sulla testimonianza che scaturisce dal "vedere". Non si tratta di una visione interiore o mistica. Quello del discepolo che Gesù amava e di Pietro non è un sogno, un sopore, pure gravido di presenza rivelatrice del mistero di Dio. No, qui si tratta del "vedere" come costatazione immediata e fattuale. Il discepolo che Gesù amava ci partecipa la verità che connota la sua esperienza. Gli è caduto il velo che gli impediva la comprensione della verità - aletheia in greco vuoi dire appunto dis-velamento.
I teli e il sudario provano ciò che le Scritture hanno annunziato e che i discepoli sin lì non hanno compreso. A noi, distanti ormai due millenni, non è possibile "vedere" se non con gli occhi dei testimoni. La nostra fede è per intero affidata alla loro identità testimoniale. Essi attestano e trasmettono che il Signore Gesù è veramente risorto dai morti. E lo fanno rivelando la loro fragilità e incredulità, la loro fatica a comprendere.


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