III Domenica di Pasqua (A)

La Parola
Commento di Cettina Militello
Vita Pastorale (n. 3/2017)



ANNO A - 30 aprile 2017
III Domenica di Pasqua

At 2,14a.22-33
1Pt 1,17-21
Lc 24,13-35
(Visualizza i brani delle Letture)


LO RICONOSCONO
ALLO SPEZZARE IL PANE

Quest'oggi la prima lettura propone alcuni versetti del discorso di Pietro al mattino di Pentecoste. La forza dello Spirito effuso lo porta ad alzarsi e ad apostrofare i presenti, convenuti a Gerusalemme per la festa. Il contenuto del discorso è Gesù stesso, crocifisso e ucciso per mano dei pagani e ora risuscitato ed esaltato da Dio. In questa che è la parte centrale del discorso, Pietro chiama a conferma le parole del Sal 16,8-11, attribuendole a Davide. Ma poiché quest'ultimo è morto e la sua tomba non è molto lontana, quanto da lui affermato riguarda piuttosto la sua discendenza. Davide, insomma, ha profetizzato la risurrezione di Gesù, il suo sfuggire alla corruzione e alla morte. Dicendosene testimone, Pietro conclude: «Innalzato alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo promesso, lo ha effuso...». Un discorso, dunque, che, ponendo in evidenza la figura dell'apostolo, proclama per la prima volta, pubblicamente e con solennità, il kerygma, l'annuncio cristiano, riassumendo gli eventi relativi a Gesù, al suo ministero, alla sua passione, morte e risurrezione, sino all'ascesa presso il Padre e al dono dello Spirito.

I versetti della Prima lettera di Pietro propongono al loro interno una confessione di fede. Il rinvio è a Cristo, agnello senza difetto e senza macchia che a caro prezzo ha redento quelli che in lui credono. Predestinato sin dalla fondazione del mondo, egli si è ora manifestato. L'efficacia del suo riscatto, non mediante oro e argento, ma mediante il suo stesso sangue, apre i destinatari alla fede e li orienta alla speranza. Il primo dei versetti proclamati ha definito i destinatari della lettera come "stranieri". L'evocazione dell'agnello esodale, figura del darsi per noi di Cristo Signore, ci consente la transizione al tema del cammino, e dunque all'incedere dei discepoli che nel testo evangelico si muovono da Gerusalemme verso Emmaus, pronti a ritornarvi dopo aver avuto l'esperienza del risorto.
Per molti motivi l'episodio dei viandanti di Emmaus si impone alla nostra attenzione. Innanzitutto è metafora di quel cammino che è la nostra stessa vita e di quegli incontri che hanno il potere di mutarla e darle senso. Al cuore della narrazione i due poli del celebrare cristiano: la Parola e lo spezzare il pane. Lo sfondo è quello di una disfatta, di un lutto immenso, di una catastrofe senza speranza che porta i due, discepoli ma fuori dalla cerchia dei più stretti, a lasciare Gerusalemme. La morte in croce del Signore, la sua sepoltura hanno messo la parola fine a una vicenda che aveva suscitato in loro una molteplice speranza di mutamento. Ora, mestamente, percorrono il cammino che è lecito a un osservante percorrere in giorno di sabato.
E sulla via si affianca a loro un personaggio sconosciuto che, colpito dalla loro tristezza, ne chiede ragione. Ed ecco i due confidargli - lui solo è all'oscuro dei fatti! - quanto è avvenuto, quali speranze abbia suscitato Gesù e come si sia conclusa male la sua vicenda. Il compagno di viaggio li rimprovera aspramente. Essi davvero si mostrano lenti e tardi nel comprendere quanto era stato annunciato dai profeti: bisognava che il Cristo patisse, prima di entrare nella gloria. Senza esitare lo sconosciuto parla di Gesù come il Cristo e comincia a spiegare loro le Scritture, a indicare luogo dopo luogo ciò che in esse è detto del Messia.

Il percorso è giunto quasi alla fine ed egli fece come se dovesse proseguire. I due lo pregano di restare con loro e Luca utilizza allo scopo quella frase, evocativa e densa che ben conosciamo: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». I tre si ritrovano a mensa e lì lo sconosciuto prende il posto preminente e in questa veste prende il pane, recita la benedizione, lo spezza e lo dà loro. I gesti sono quelli rituali, gli stessi che Gesù ha compiuto nella sua ultima cena con i suoi. Ed ecco i due lo riconoscono. I loro occhi sin lì chiusi, incapaci di coglierlo nella sua identità, d'improvviso si aprono. Ma, paradossalmente, la sua presenza nel pane lo rende invisibile ai loro occhi.
A ragione, credo, si è voluto cogliere in questo brano la descrizione di un'eucaristia così come la celebrava la comunità delle origini. Al racconto degli eventi relativi a Cristo seguiva la ripetizione del suo gesto. Egli, assente, le si faceva presente nel pane e nel vino della cena. Luca, ovviamente, gioca nel circolo del non conoscerlo e riconoscerlo. E, a riprova del Maestro finalmente ritrovato, il fuoco, l'ardore prodotto dal suo interpretare la Scrittura. Per questo parlare di Gesù lungo la via, appunto interpretando le Scritture, Luca usa il verbo omilein, da cui "omelia" e che alla lettera indica il colloquiare familiare, il fraterno approfondire e chiarire che, nel nostro caso, riguarda la parola di Dio, il penetrarla appieno per fame alimento di vita.
L'ardere del cuore dei discepoli dovrebbe contrassegnarla, conducendo l'ascoltatore a vivere un' analoga esperienza. Ed ecco, la comprensione dell'identità di colui che ora si è sottratto ai loro occhi, muta in gioia il loro lutto e li porta a invertire il cammino per ritornare al punto di partenza, la città santa. Il cammino di Emmaus è stato letto come immagine del cammino della comunità credente il cui peregrinare nella storia trova senso nell'accompagnarsi a lei del Signore, interprete autentico della Parola.


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