Pentecoste (A)

La Parola
Commento di Cettina Militello
Vita Pastorale (n. 4/2017)



ANNO A – 4 giugno 2017
Pentecoste

At 2,1-11
1Cor 12,3b-7.12-13
Gv 20,19-23
(Visualizza i brani delle Letture)


DALLO SPIRITO
NASCE LA CHIESA

«Vieni, Santo Spirito... Vieni, datore dei doni». Mutuiamo dalla sequenza di Pentecoste, l'antico inno a tutt'oggi cantato o proclamato prima dell'Alleluia, il filo conduttore di questo nostro riflettere sui testi che la liturgia propone per il giorno di Pentecoste.

La prima lettura narra nient'altro che l'evento, l'avverarsi di quanto promesso da Gesù circa il dono dello Spirito. Ciò non risponde solo alla rilevanza che lo Spirito ha nell'opera di Luca. Dice più ampiamente l'incipit della comunità cristiana sotto il suo irrompere come vento impetuoso. I vangeli tutti concordano nella promessa dello Spirito. E, nel segno dello Spirito, è l'inizio stesso del ministero di Gesù. Se vogliamo, ogni inizio è sotto il suo soffio benigno. Basta riandare alla Genesi, al suo aleggiare sulle acque primordiali.
Nella cornice teologico-liturgica di Luca tutto ciò accade a 50 giorni dalla risurrezione del Signore, ossia in concomitanza con la festa giudaica della Pentecoste, festa agricola legata al raccolto delle messi e connessa alla stipulazione dell'alleanza con il dono della Legge. E, infatti, i caratteri di questo irrompere dello Spirito evocano la grande teofania sinaitica: fragore, turbine di vento, lingue di fuoco. L'impatto dello Spirito muta i titubanti discepoli che al versetto 14 abbiamo sentito elencati e mostrati in preghiera, uomini e donne tutti accomunati nella sequela. Ora essi/esse possono autorevolmente, nella sua forza, rendere testimonianza. Parlano nell'ebbrezza loro donata dallo Spirito. Parlano in "lingue altre". Ed ecco ciascuno li sente parlare nella propria lingua nativa. Con andamento drammatico Luca declina le nazioni diverse dei convenuti per la festa.
Quelli che parlano sono Galilei, ma ciascuno li sente e perciò comprende nella sua propria lingua. Il primo frutto dello Spirito è questo appunto dello spezzare la barriera delle lingue, di rendere accessibile il messaggio che, affidato al dialetto di chi parla, è compreso nella lingua propria di chi ascolta. Lo Spirito opera comprensione, non omologazione. Non annulla le differenze, le lascia sussistere nella loro ricchezza ma le oltrepassa rendendole appunto trasversalmente fruibili. Si è rovesciata Babele, osservano i Padri. In verità l'umanità non è restituita a unico linguaggio, ma è resa capace di tessere connessioni e comprensioni oltre e con la molteplicità dei linguaggi.
Questo delle "lingue altre" è certamente uno dei doni dello Spirito. E dei molteplici doni che egli elargisce, della loro origine e della loro dinamica, come pure dell'azione dello Spirito nel compaginare il corpo di Cristo ci parla la Prima lettera ai Corinzi. Il brano oggi proclamato parte dall'affermazione che nessuno può dire "Gesù è Signore!", se non sotto l'azione dello Spirito. Egli è dunque a monte della fede e della sequela del risorto. La comunità di Corinto vive la ricchezza dei doni e persino li sopravvaluta.
Quanto Paolo afferma al capitolo 12 serve a meglio guidarla nell'intelligenza di un fenomeno che investe le giovani comunità cristiane. Particolarmente preziosi i versetti 4-6, perché non solo i doni vengono denominati in evidente rapporto nativo a Padre, Figlio, Spirito, ma le denominazioni diverse dicono il fenomeno nella sua interezza e dunque esprimono sinonimia più che distinzione. Vi è diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi è diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore; vi è diversità di operazioni, ma uno solo è Dio che opera tutto in tutti. Da qui il connettere la gratuità allo Spirito, il servizio al Signore, l'operazione all'agire di Dio Padre.
Charismata, diakonia, energhemata si corrispondono pur riflettendo, ciascuno di questi termini, la radice trinitaria ad esso propria. Di più, nessun membro della comunità resta fuori dal dono: tutti lo ricevono per l'utilità comune. Ed ecco il ricorso alla metafora del corpo e delle membra, la cui molteplicità non lede l'unità ma la rende efficace. Paolo stabilisce una analogia tra il corpo e il Cristo. Dice ai Corinzi che, battezzati in un solo Spirito, i credenti costituiscono un corpo solo, indipendentemente dall'essere Giudei o Greci, schiavi o liberi. Tutti - afferma ancora - siamo stati dissetati da un solo Spirito. Emerge insomma la soggettualità costituente dello Spirito, la sua funzione nell'accadere ecclesiale. Emerge la ricchezza dei doni che elargisce, la sinergia sottesa al coglierli nella loro gratuità graziosa, nella loro traduzione diaconica, nella loro alacrità operosa.

La proclamazione del vangelo ci riconduce al giorno stesso di Pasqua, all'ingresso di Gesù nel luogo dove i suoi stanno, a porte chiuse, tremebondi. Egli li apostrofa con il più ovvio dei saluti: «Pace a voi!» e questo stesso ripete ancora aggiungendo: «Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». E, in simmetria al soffio di vento gagliardo della tradizione lucana, lo vediamo alitare su di loro dicendo: «Ricevete lo Spirito Santo». E proprio la pienezza del dono ad abili tarli alla remissione dei peccati. A ragione dunque, dalla esuberanza dello Spirito loro elargito, dalla creazione nuova che il suo soffio sempre comporta, i discepoli ricevono il duplice mandato dell'annuncio e della riconciliazione.
La Chiesa nasce dallo Spirito; è guidata dallo Spirito che non cessa di risanarla e riformarla così che pienamente assolva al ministero dell'annuncio e della riconciliazione. Compito che non è solo degli undici ma di noi tutti, ai quali egli non manca d'elargire il suo dono. Ecco perché nel far memoria della Pentecoste insistentemente chiediamo: «Vieni Santo Spirito... Vieni datore dei doni!».


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