I Domenica di Quaresima (A)

La Parola
Commento di Cettina Militello
Vita Pastorale (n. 2/2017)



ANNO A - 5 marzo 2017
I Domenica di Quaresima

Gen 2,7-9;3,1-7
Rm 5,12-19
Mt 4,1-11
(Visualizza i brani delle Letture)


PURE NELLE TENTAZIONI
GESÙ SI FA SIMILE A NOI

I quaranta giorni del tempo quaresimale guardano a Gesù, al suo ritirarsi nel deserto, prima di dare inizio al ministero pubblico. Il deserto è un luogo ambivalente che, ciò malgrado, ha segnato al positivo la vicenda del popolo di Dio. Quaranta, poi, è numero simbolico che suggerisce compiutezza e come tale scandisce momenti forti nella storia della salvezza. Si tratta, per noi, di prepararci alla Pasqua, di seguire Gesù nel suo cammino verso la croce e la risurrezione, facendo proprio un atteggiamento di conversione, sobrietà, acquisizione profonda della sua parola e del suo esempio.
La prima lettura di questa domenica è tratta dal libro della Genesi. Lo scenario è quello della creazione del primo essere umano per il quale Dio pianta in Eden un giardino ricco e ubertoso. Il testo proclamato omette la creazione della donna e ci porta più avanti quando il serpente, il più astuto tra gli animali, persuade quest'ultima a violare la proibizione di cibarsi del frutto dell'albero della conoscenza. Conosciamo la catena narrativa che nel cedimento coinvolge anche Adamo. Il serpente, bugiardo, è però veritiero nel dir loro che mangiare di quel frutto li farà consapevoli del bene e del male; ma proprio questo comporta per i mitici progenitori l'acquisizione della coscienza del limite, la scoperta della propria nudità.
Nel testo proclamato una certa misoginia s'intreccia con lo stereotipo sapienziale e, in effetti, la donna tentatrice è simbolo di quella domanda di conoscenza che connota noi esseri umani. A tutto ciò si unisce la polemica anti-idolatrica perché il serpente è divinità cananea della fertilità. Prevale comunque su ogni altro il tema della disobbedienza, il paradosso alienante del voler essere come Dio, ossia liberi, sciolti, capaci di autodeterminarsi, e a tutto campo, sostituendosi a lui.

Il racconto della caduta trova eco nella seconda lettura. Paolo nella Lettera ai Romani riprende il tema ebraico relativo all'ingresso del peccato nel mondo e con esso della morte, e stabilisce un parallelismo tra il primo Adamo, tipo/figura di colui che doveva venire, e il secondo Adamo, il Cristo che appunto verrà. L'argomentazione però non è tanto diretta ad amplificare la prima colpa, quanto a rivendicare la grandezza sovrabbondante della grazia, assai più potente di quanto non lo sia la conseguenza del peccato. Appartiene alla retorica biblica il gioco tipo/antitipo. Adamo è figura di Cristo; e il Cristo è figura rivelativa e conclusiva della figura di partenza. E ancora in gioco è la contrapposizione obbedienza/disobbedienza: la disobbedienza di Adamo tutti ci ha costituiti peccatori - l'obbedienza di Cristo tutti ci costituisce giusti; e come per la caduta di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, così per l'opera retta di uno solo si riversa su tutti la giustificazione.

Nello sfondo drammatico dell'antitesi peccato-morte/grazia-vita, il testo evangelico ci propone il condursi emblematico, paradigmatico di Gesù che, rivelato al Giordano come Figlio di Dio, è tentato in questa sua identità. Le prove a cui è sottoposto vorrebbero orientare diversamente la sua scelta messianica. Ed è contro una lettura miracolistica, potente e idolatrica del messianismo che Gesù si oppone a colui che divide, il dia-bolos appunto, a Satana.
Se, dunque, in qualche modo, nell'essere tentato, Gesù si fa simile a noi - le tentazioni che lo riguardano possono essere anche nostre - in verità Matteo prosegue nel suo disegno rivelatore dell'identità di Gesù e ripropone, nelle tentazioni stesse, la vicenda dell'Israele esodiale, il suo alienarsi dal Signore che nel deserto lo ha messo alla prova proprio per forgiarlo e renderlo suo popolo. Solo che qui la situazione si ribalta: non è Dio ma è Satana a mettere alla prova Gesù.
Dopo giorni di digiuno egli ha umanissimamente fame. Su questo bisogno primario s'inserisce il tentatore proponendogli un messianismo magico e miracolistico: far diventare pane le pietre. Gesù rifiuta e contrappone al tentatore la parola di Dio: «Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Dt 8,3). La seconda tentazione è ancora più spettacolare: Gesù, portato sul pinnacolo più alto del tempio, è invitato, con le parole del Sal 91,11 a lanciarsi giù perché saranno gli angeli a sorreggerlo. La risposta ancora una volta appella alla parola di Dio: «Non metterai alla prova il Signore Dio tuo» (Dt 6,16). La terza infine sembra raccogliere il tema di un messianismo imperialista e potente. Gesù è condotto su un monte dal quale Satana gli mostra tutti i regni della terra ed è pronto a dargliene lo scettro solo che lo adori. Gesù risponde ancora con il Deuteronomio: «Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto» (Dt 6,13).
Le tre tentazioni ripropongono la crisi di fiducia dell'antico popolo legata al cibo che manca e a cui Dio risponde con il miracolo della manna e delle quaglie (cf Es 16); la ribellione a Massa e Meriba per la mancanza d'acqua che miracolosamente Mosè fa scaturire dalla roccia (cf Es 17); la costruzione del vitello d'oro ossia di un simulacro sterile, sostitutivo del Dio dell'alleanza (cf Es 32). Nel riproporre l'esperienza del peregrinare d'Israele nel deserto, Gesù risponde al tentatore mostrandosi fedele alla parola che Dio ha indirizzata al suo popolo.


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