IV Domenica di Quaresima (A)

La Parola
Commento di Cettina Militello
Vita Pastorale (n. 2/2017)



ANNO A - 26 marzo 2017
IV Domenica di Quaresima

1Sam 16,1b.4a.6-7.10-13
Ef 5,8-14
Gv 9,1-41
(Visualizza i brani delle Letture)


GESÙ, LUCE DEL MONDO
CI ILLUMINA E CI SALVA

La IV domenica di Quaresima è detta "laetare", dal Canto d'ingresso che si apre con le parole: «Rallegrati, Gerusalemme ... ». Siamo a metà del cammino verso la Pasqua e la liturgia ci incoraggia e ci conforta. Il tema dominante è quello della luce, della illuminazione. Il testo di Gv 9,1-41 era letto a quelli che si preparavano al battesimo e divenivano indici del cammino i passaggi stessi del racconto, il progressivo aprirsi alla "vista" del già cieco sino alla sua confessione cristologica.
Il tema iniziatico è veicolato anche dalla lettura veterotestamentaria tratta dal Primo libro di Samuele. Il profeta va a Betlemme, da Iesse, per obbedire al comando di Dio circa l'unzione come re di uno dei suoi figli. Ma, tra quelli che gli passano davanti, non trova il designato. Ed ecco la scelta cade sull'unico assente, il più giovane, il meno aitante. Il profeta riversa sul suo capo l'olio dell'unzione ed ecco lo Spirito del Signore irrompe su di lui. Davide, mitico re d'Israele, è metafora d'ogni iniziato che unto con il crisma acquisisce la gratuità gratificante dello Spirito. Re, sacerdoti, profeti sono i cristiani tutti, tali perché unti e seguaci dell'Unto, Cristo Signore.

La lettura apostolica, tratta dalla parenesi del capitolo 5 della Lettera agli Efesini, ha anch'essa una valenza battesimale nella contrapposizione tra tenebra e luce. I credenti sono divenuti figli della luce. L'acqua battesimale li ha condotti dall'oscurità alla luce. Da qui il nome di "illuminati" con cui la Chiesa antica li ha indicati; da qui "illuminazione" come termine tecnico per indicare il battesimo. Si capisce allora l'invito, tratto probabilmente da un antico testo battesimale: «Svegliati, tu che dormi, risorgi dai morti e Cristo ti illuminerà».
Gv 9,1-41 propone un miracolo di chiara impronta messianica. L'episodio si snoda in sette tappe costruite in forma concentrica. L'avvio (vv. 1-7) è dato dalla situazione del cieco che Gesù incontra e sul quale i discepoli interrogano il Maestro per sapere a chi debba esserne addebitata la cecità. Era abbastanza comune nella cultura antica pensare che il deficit fisico fosse imputabile a una colpa, propria o dei genitori. Ovviamente Gesù respinge questa visione, affermando che essa è invece l'occasione del manifestarsi delle opere di Dio. Lo vediamo dunque operare il miracolo mischiando saliva a polvere, per spalmare poi, con il fango ottenuto, gli occhi del cieco nato, invitandolo in aggiunta ad andare a lavarsi alla piscina di Siloe. Il fango evoca la creazione del primo Adamo (cf Gen 2,4b-7); così come evoca la potenza salvifica dell'acqua l'invito a lavarsi alla piscina di Siloe, nome che, con una certa forzatura, l'evangelista fa derivare da "inviato". È giocoforza chiamare in causa Gesù come l' ''inviato'' e il cieco come colui che egli invia. Acqua, fango, ci riportano alla matericità che supporta l'agire di Gesù, il suo chinarsi concreto, fisico, sugli esseri umani così da guarirli e illuminarli.
Il secondo movimento (vv. 8-12) è quello relativo alle reazioni che il miracolo suscita. E, diversamente da quanto accade altrove, dinanzi a un prodigio tipico del tempo messianico, nel quale appunto gli zoppi saltellano e i ciechi vedono (cf Is 35,5-6), oggetto di discussione è l'identità del guarito. Ci si chiede se sia proprio lui quello già conosciuto come cieco e, in seconda istanza, com'è avvenuta la sua guarigione, per passare, infine, a Gesù a chi egli sia. Il cieco testimonia d'essere stato guarito, ma nulla può dire di Gesù. Il terzo movimento (vv. 13-17) vede in scena i Farisei. Gesù ha agito in giorno di sabato e dunque ha trasgredito la Legge. Anch'essi interrogano il cieco nato e la risposta è la stessa. Da qui la riprovazione degli uni - non viene da Dio - e lo stupore degli altri - come può un peccatore compiere segni di questo genere? -, sino alla domanda rivolta,al cieco nato: "Tu cosa dici di lui?" e alla sua risposta: "È un profeta".

Nella quarta scena subentrano i Giudei che mettono in discussione l'accaduto e interrogano i genitori del cieco nato. Essi attestano che il figlio è cieco sin dalla nascita, ma ricusano di spiegare come ora ci veda: piuttosto interroghino lui. In gioco è il riconoscimento di Gesù come il Messia, cosa che i genitori rifiutano di fare per non essere esclusi dalla comunità. Ed ecco di nuovo (vv. 24-34) ad essere interrogato è il cieco. I Giudei chiedono che egli sconfessi colui che l'ha risanato: come può lui che è nato nei peccati affermare la verità della sua guarigione? Ma la scelta del cieco nato è a favore di Gesù. Egli sa d'essere stato guarito; non ci vedeva e ora ci vede. Dinanzi all'incalzare delle domande il cieco chiede ai Giudei se vogliono diventare discepoli di Gesù. Il che ovviamente suscita la loro furiosa reazione.
Da una parte, dunque, i Giudei, la loro presunzione circa l'osservanza della Legge; dall'altra la fede del cieco nato il quale attesta l'identità di Gesù e che per questo viene buttato fuori. Ed ecco la scena risolutiva (vv. 35-38): Gesù trova il cieco nato e, dialogando con lui, lo porta alla compiutezza della fede. Il cieco nato riconosce Gesù come il "Figlio dell'uomo" e gli si prostra innanzi. La pericope è costruita in crescendo per arrivare alle parole: «Credo, Signore!». La settima e ultima scena (vv. 39-41) è ricapitolativa del percorso: Gesù è venuto perché i non vedenti vedano e quelli che si considerano vedenti (ma non lo sono) si riconoscano ciechi.


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