Giovedì Santo

La Parola
Commento di Cettina Militello
Vita Pastorale (n. 3/2017)



ANNO A - 13 aprile 2017
Giovedì Santo

Es 12,1-8.11-14
1Cor 11,23-26
Gv 13,15
(Visualizza i brani delle Letture)


L'EUCARISTIA È
RENDIMENTO DI GRAZIE

Scegliamo tra le letture del triduo pasquale quelle relative al Giovedì santo. Non vogliamo fermarci sulla prima lettura se non per raccoglierne la provocazione relativa al "memoriale". La Pasqua, che il popolo d'Israele ha celebrato e celebra rievocando il passaggio del Signore e la liberazione dall'Egitto, è un evento fondativo la cui efficacia torna a conformarlo all'azione potente di Dio. Non si tratta di ricordare un evento, ma piuttosto di riproporlo nell'interezza della sua originaria e originante efficacia. La Pasqua del Signore che andiamo a celebrare ha le stesse caratteristiche. Ogni volta che celebriamo la morte del Signore e ne annunciamo la risurrezione; ogni volta che ci cibiamo del suo corpo e beviamo del suo sangue riproponiamo il memoriale della nuova alleanza, non più segnata dal sangue di un agnello, ma sigillata dal suo sangue.

Al cuore del memoriale insomma è l'eucaristia, il consegnarsi del Signore a noi nel pane e nel calice della cena che ne anticipa la morte e la risurrezione. In questo contesto la lettura apostolica suona struggente perché ci trasmette la fede e la prassi della comunità primitiva in un tempo assai prossimo agli eventi - siamo nei primi anni 50 d.C. Paolo che, nella sezione che va da 11,2 a 14,40, sta offrendo indicazioni sul buon ordine dell'assemblea, nei versetti oggi proclamati, attesta quanto ha ricevuto dal Signore e a sua volta ha trasmesso alla comunità, ossia che, nella notte in cui veniva tradito, Gesù ha compiuto un'azione di grazie sul pane e sul vino e all'uno e all'altro ha dato la valenza nuova del suo corpo e del suo sangue ordinando: «Fate questo in memoria di me».
La "cena del Signore", come la chiama Paolo, la "frazione del pane", come la chiamano gli Atti, è dunque un'azione memoriale che ripropone efficacemente nei segni del pane e del vino il corpo per noi dato e il sangue per noi versato che ci diventano cibo e bevanda per la vita eterna. Il brano di Paolo si chiude solennemente affermando: «Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga». Espressione che, dopo la riforma liturgica del Vaticano II, è divenuta acclamazione conclusiva del racconto rituale dell'istituzione.
Il farsi cibo e bevanda è segno di quell'amore più grande che costituisce il "comandamento nuovo" (cf Gv 15,12s). Non a caso, dunque, nel giorno in cui seguiamo il Signore passo passo, dal suo sedere a mensa con i suoi sino alla preghiera nell'orto degli ulivi e alla cattura, tradizionalmente leggiamo la versione della cena con i suoi che ci è proposta dal vangelo di Giovanni. In esso non ci viene trasmesso il racconto dell'istituzione dell'eucaristia, ma narrata l'azione di Gesù sui suoi, il suo deporre le vesti, cingersi con un asciugamano e lavare i loro piedi, uno ad uno. Lavare i piedi, lo sappiamo, era gesto di misericordia verso l'ospite in un contesto geo-culturale che non rendeva agevole il camminare per le strade, sporche e polverose se asciutte, maleodoranti e fangose se bagnate. Si trattava di un'incombenza pesante, sgradevole, proprio per ciò compiuta dagli schiavi, dai servi, dalle donne. A protestare è Pietro, ben presto ridotto al silenzio.
Ma ciò che importa per i discepoli d'ogni tempo è la spiegazione che Gesù stesso offre del suo gesto. «Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovere lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi». Il brano proclamato, dopo la contestualizzazione temporale prima della festa di Pasqua - e quella relativa a Gesù, alla consapevolezza del compiersi della sua "ora", afferma: «Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine».

La correlazione tra il mancato racconto dell'istituzione dell'eucaristia, pane di vita di cui lungamente ha parlato Giovanni al capitolo 6, e l'azione simbolica di Gesù, il suo lavare i piedi ai discepoli, sta proprio in queste parole. L'amore di Gesù è un consegnarsi loro, totalmente e assolutamente. Il gesto servile del lavare loro i piedi lo sigilla più fortemente, quasi, dello spezzare il pane. Il Maestro e il Signore ha deposto le vesti; ha fatto di un asciugamano una sorta di grembiule... E, invece, la comunità cristiana a cui ha dato l'esempio ha fatto presto a stabilire al suo interno gerarchie, a costituire gradi e disgiunzioni, dimentica che dovrebbe connotarla il servizio che gli uni debbono rendere agli altri mettendo in circolo l'amore reciproco, quello stesso che ha condotto Gesù ad amare i suoi sino alla fine.
Questa sera si enfatizza l'istituzione del sacerdozio e dell'eucaristia. Ma al mattino, spesso, la stessa messa crismale, vera epifania della Chiesa popolo regale sacerdotale e profetico, diventa una celebrazione parcellizzata dimenticando il primato dell'amore e del servizio. Non si tratta di parole vuote ma di istanze radicali, fuori dalle quali c'è soltanto parvenza di Chiesa. Amore concreto - dare la propria vita per gli altri; servizio concreto - riconciliare con Dio e farsi interpreti, per sanarle, delle piaghe che feriscono il corpo di Cristo. L'eucaristia è memoriale della nostra salvezza; è rendimento di grazie al Padre per il Figlio e nello Spirito.


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