II Domenica del Tempo ordinario (A)

La Parola
Commento di Cettina Militello
Vita Pastorale (n. 11/2016)



ANNO A – 15 gennaio 2017
II Domenica del Tempo ordinario

Is 49,3.5-6
1Cor 1,1-3
Gv 1,29-34
(Visualizza i brani delle Letture)


SERVO E STRUMENTO
DI RICONCILIAZIONE

Entriamo con questa domenica nel tempo ordinario. Forse è bene innanzitutto fermarsi sul significato di questa espressione. Essa traduce con una certa improprietà l'espressione per annum che alla lettera indica il succedersi delle domeniche nell'anno liturgico al di fuori dei cicli dell'Avvento, del Natale, della Quaresima, della Pasqua e della Pentecoste. In effetti non c'è nella celebrazione liturgica un tempo "ordinario", ossia un tempo minore o di seconda classe. L'evento memoriale della morte e risurrezione del Signore va sempre celebrato con la stessa intensità. Occorre dunque guardare alle domeniche che ci separano dalla Quaresima con attenzione e rispetto, attenti a quanto in esse la liturgia ci suggerisce con una valenza forte e propria.
Questa II domenica ne è la riprova, proponendoci sotto altra angolazione liturgico-teologica l'incontro tra Gesù e il Battista. La prospettiva diversa è significata dal brano mutuato dal vangelo di Giovanni, raccordato a Is 49,3.5-6. Tra i due - è la scelta della riforma liturgica seguita al Vaticano II questa di proporre una lettura continua - la Prima lettera ai Corinzi che ci accompagnerà anche nelle domeniche che seguono. Di nuovo dunque il tema del battesimo nella dinamica generatrice del nuovo popolo. Di nuovo il tema messianico della salvezza.

Quest'ultimo costituisce il filo conduttore della prima lettura tratta dal Deutero-Isaia. Ricordiamo che la raccolta a lui attribuita ne riconduce il ministero al periodo dell'esilio: avrebbe supportato il popolo nella sua nuova e difficile condizione. Oggi a parlare, in quello che conosciamo come il secondo canto del servo del Signore, è il profeta stesso che declina il suo statuto di "servo". Il testo ci offre una sorta di sua autopresentazione e ne disegna la missione salvifica. Il suo compito, pur essendo questo originariamente, non si limita a restaurare Israele, a ricondurre gli scampati in patria. La missione del servo, nelle parole rivoltegli dal Signore, è ora quella d'essere luce delle nazioni così da portare la salvezza fino all'estremità della terra. Gli accenti sono quelli di un universalismo salvifico che oltrepassa il popolo eletto e si allarga a tutti i popoli, a tutte le genti nell'inclusione gratificante di gloria (Is 49,3) e luce (Is 49,6), tratti costitutivi del Dio d'Israele.
Della Prima lettera ai Corinzi leggiamo oggi il saluto. Se vogliamo trovare una connessione con la missione del profeta e poi con il testo evangelico dobbiamo insistere sulla flessione caratterizzante i cristiani di Corinto: «Santificati in Cristo Gesù, santi per chiamata, insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore». Paolo, che apre rivendicando per sé lo statuto di apostolo così saluta la Chiesa di Corinto, così addita quelli che le appartengono. Santificati rinvia all'azione dello Spirito, chiamati santi, ne dice la vocazione e l'indole acquisita. Questi "titoli ecclesiologici" - presenti nelle lettere apostoliche anche fuori dal corpus paolino - non identificano i membri dell'una o dell'altra comunità ma piuttosto i cristiani ovunque si trovino. Nei titoli troviamo indicata la condizione battesimale, il suo esito, appunto, la santificazione frutto della chiamata ricevuta e accolta. A costoro Paolo indirizza un augurio di grazia e pace, doni che ci vengono da Dio e dal Signore Gesù.

Il testo evangelico è mutuato dal capitolo primo di Giovanni. Al "prologo" sono seguiti i versetti relativi a Giovanni e alla sua identità (Gv 1,19-28). Assistiamo all'incontro tra Gesù e il Battista con una significativa differenza rispetto ai sinottici. Il filtro dell'evento ora è Giovanni. È lui a salutare Gesù come l'agnello di Dio che toglie i peccati del mondo; è lui a indicarlo come il Figlio di Dio. Quanto gli altri narrano, egli vede e perciò testimonia in prima persona. Giovanni e il suo battesimo costituiscono la preparazione al battesimo nello Spirito che è proprio del Messia. Dunque altrimenti, ma con altrettanta forza, l'evangelista attesta il messianismo regale di Gesù. Egli è colui sul quale si posa la pienezza dello Spirito; è colui che ne riceve integralmente i doni. L'agire di Gesù è tale in forza della sua identità filiale. E anche questa attesta Giovanni: colui che l'ha chiamato a battezzare è anche colui che gliel'ha resa nota. Egli ne è, per il popolo, il diretto e immediato testimone.
Ma cosa vuoi dire "agnello di Dio"? Il simbolismo è polivalente. Può alludere al servo che come agnello è condotto al macello (cf Is 53,7), all'agnello pasquale, come nel racconto della passione (18,28; 19,36), all'agnello immolato (Ap 12,5) e, infine, agli agnelli indicati nel Levitico per vari tipi di purificazione rituale. L'alleanza nel sangue dell'agnello (e l'alleanza in Gesù che ne ripropone la funzione oltrepassandolo) dice l'attitudine misericordiosa del Dio d'Israele, il suo farsi incontro tramite i segni al popolo prescelto. Non meno forte è il segno dell'acqua, anch'esso surclassato dal battesimo nello Spirito. A fare la differenza è l'identità di Gesù, il messianismo regale iscritto nella figliolanza. A ragione del suo rapporto con il Padre e con lo Spirito, Gesù il Figlio è in grado di operare la piena purificazione dal peccato attesa per i tempi ultimi e che nessuna ritualità, si tratti del battesimo nell'acqua o dell'immolazione degli agnelli nel tempio, potrebbe mai realizzare. Egli, "agnello di Dio", opera il giudizio e il perdono del mondo.


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