VI Domenica del Tempo ordinario (A)

La Parola
Commento di Cettina Militello
Vita Pastorale (n. 1/2017)



ANNO A – 12 febbraio 2017
VI Domenica del Tempo ordinario

Sir 15,15-20
1Cor 2,6-10
Mt 5,17-37
(Visualizza i brani delle Letture)


VIVERE IL VANGELO
CON LE SUE ESIGENZE

La lettura veterotestamentaria è tratta dal libro del Siracide, uno scritto assente nel canone delle Scritture ebraiche e del quale tuttavia ci è giunto quasi tutto l'originale in diversi manoscritti ebraici. Esso rispecchia la situazione religiosa della Palestina del II secolo. L'autore se ne fa interprete e, contro le mode straniere, rivendica la tradizione e la sapienza d'Israele. Il testo ci è giunto nella traduzione greca stilata dal nipote ormai in Egitto, testimone di un quadro religioso e politico in cui l'ellenizzazione è un fatto compiuto. In verità ne abbiamo due versioni nel contesto di una storia redazionale complessa. Come agli altri libri sapienziali, manca al Siracide un preciso schema compositivo; non vi troviamo argomentazioni compiute in quanto espressioni proverbiali o affermazioni diverse, nell'alveo comunque della tradizione sapienziale ebraica. Lo testimoniano i versetti proclamati.
In essi la scelta libera dell'uomo, la capacità di aderire al bene o al male, si confronta con la sapienza divina che guarda con benevolenza coloro che temono il Signore. Egli conosce le azioni degli uomini e a nessuno ha dato l'autorizzazione a peccare. La lettura parte dall'esortazione a osservare i comandamenti, guida, custodia all'agire del credente; condizione del suo fiducioso affidarsi al Signore e perciò garanzia di vita. Se il tema della sapienza suggerisce un aggancio alla seconda lettura, l'osservanza dei comandamenti e dunque la fedeltà alla Legge trova eco nella pericope evangelica.

Proseguendo nella lettura della 1 Cor, ascoltiamo Paolo tessere l'elogio della sapienza di Dio. Si tratta del progetto divino di salvezza, del disegno di Dio che ci vuole tutti salvi, tutti partecipi della sua vita e della sua gloria. Un progetto nascosto, realizzato in Cristo (cf Rm 16,25), e da Dio stabilito sin dall' eternità. Non è possibile non rievocare la Sapienza, quella che affianca Dio nella sua progettualità creatrice (cf Pr 8,22-31). Non è possibile non evocare la categoria di "mistero", così presente in Paolo, tutt'uno con il disegno salvifico originario via via manifestato. La sua conoscenza è stata sottratta ai dominatori di questo mondo. Se l'avessero conosciuta, afferma Paolo, non avrebbero messo in croce «il Signore della gloria».
Lo scandalo dell'incredulità, la lotta permanente tra bene e male, tutt'uno con l'ignoranza del piano di Dio, è supportato da Paolo con la citazione di Is 64,3 e Ger 3,16: Dio ha preparato per coloro che lo amano cose che l'occhio non ha mai visto, né l'orecchio ha mai udito. Nella sua appassionata presentazione della sapienza a quelli che chiama "perfetti", ossia adulti nella fede, egli afferma con forza che il mistero ci è stato rivelato tramite il dono dello Spirito, il solo che conosce ogni cosa, anche le profondità di Dio. Ritorna l'intreccio di Spirito e Sapienza e il tema dello Spirito come chiave interpretativa e attuativa della vita cristiana.

Nella lettura evangelica continuiamo ad ascoltare l'insegnamento di Gesù sul monte. In modo solenne ed enfatico egli afferma d'essere venuto non ad abolire la Legge e i Profeti ma a portarli a compimento. L'essere minimi o grandi nel regno dei cieli passa proprio dal non aver disatteso nemmeno il più piccolo dei precetti: cosa espressa con la metafora di segni grafici, in apparenza minuscoli e insignificanti. La tesi teologica di Matteo è però quella del compimento, dell'adempimento della Legge e dei Profeti nell'insegnamento e nell'opera di Gesù. Ed ecco che alla difesa della Legge segue la considerazione relativa ai discepoli: non avranno accesso al regno dei cieli se la loro giustizia non sarà più grande di quella degli scribi e dei farisei. Il tema dunque è quello della "giustizia più grande". Gesù l'annuncia nel susseguirsi di sei antitesi incalzanti relative all' omicidio e alla riconciliazione; all'adulterio e allo scandalo; al ripudio; ai giuramenti; alla legge del taglione; all'amore dei nemici. La nuova e compiuta intelligenza della Legge è affidata alla formula: «Avete inteso [ ... ] ma io vi dico».

Il Vangelo di oggi, lo si legga per intero o nella forma abbreviata, propone le prime quattro antitesi, disomogenee nella loro partitura. Ciò che va sottolineato è l'appello escatologico sotteso al compimento della Legge di cui Gesù si fa banditore. Esso dà un connotato radicale e urgente ai rapporti interpersonali che non possono più giocarsi su un piano formale e giuridico, ma impegnano altrimenti e definitiva mente la comunità perché condizionano il destino ultimo del credente, la sua stessa salvezza. Da qui, oltre la condanna dell'omicidio, la proibizione dell'apostrofare il fratello con espressioni ingiuriose e il dovere di riconciliarsi.
Sappiamo che nella pericope oggi proclamata l'attenzione è rivolta al termine porneia, nella forbice che lo interpreta come "impudicizia" ovvero come "irregolarità". Preferiamo però prestare attenzione, nel contesto della seconda antitesi, quella del riconciliarsi, al paradosso del dover sospendere un atto di culto se, prima non si è ricomposta l'offesa arrecata al fratello. È provocazione che riporta a quella dimensione interiore del culto già additata dai profeti e che, anche a noi, richiama la vacuità del raccoglierci in assemblea se prima non ci siamo riappacificati con colui/colei che abbiamo offeso.


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