VII Domenica del Tempo ordinario (A)

La Parola
Commento di Cettina Militello
Vita Pastorale (n. 1/2017)



ANNO A – 19 febbraio 2017
VII Domenica del Tempo ordinario

Lv 19,1-2.17-18
1Cor 3,16-23
Mt 5,38-48
(Visualizza i brani delle Letture)


L'AMORE S'INCARNA
IN SCELTE QUOTIDIANE

La prima lettura propone alcuni versetti del Levitico, libro sacerdotale per antonomasia, caratterizzato soprattutto da disposizioni e indicazioni di carattere cultuale. Redatto in forma definitiva dopo l'esilio, contiene elementi più antichi. Il capitolo 19, collocato all'interno della cosiddetta "Legge di santità" (Lv 17-26), presenta prescrizioni diverse d'indole morale e cultuale. E, tra di esse, l'affermazione: «Siate santi, perché io, il Signore vostro Dio, sono santo». L'Antico Testamento attesta il Dio d'Israele come il "Santo" (cf Lv 11,44), anzi il "tre volte Santo" (cf Is 6,3).
La santità è il tratto costitutivo del Dio dell'alleanza. Non gli è propria l'aura sacrale della separatezza ma piuttosto quella santificante della prossimità ed è proprio il riverberarsi sul popolo di ciò che è proprio di Dio, l'essere partecipi di ciò che egli è, a esigere una condotta consona, adeguata, verso il fratello e verso il prossimo secondo l'attitudine gratificante e gratuita che lo connota. Da qui il comando di astenersi dall'odio, dalla vendetta, dal rancore; il comando di amare il prossimo come sé stesso. La formula: «Io sono il Signore» sancisce solennemente il comando. L'orizzonte è quello interno della comunità d'Israele. Le prescrizioni di cui parliamo ne regolano, infatti, i rapporti.

Il tema della santità caratterizza anche la lettura apostolica. Sono molteplici le immagini di cui si serve la Scrittura e Paolo in particolare per indicare la comunità. Quella del tempio è una di queste. La connota immediatamente la santità, perché già nella tradizione ebraica il tempio è il luogo della presenza di Dio in seno al suo popolo. Ora il tempio non è più fatto di pietre, ma è costituito dai cristiani stessi nei quali abita lo Spirito di Dio. «Santo», afferma Paolo, «è il tempio di Dio che siete voi». La metafora costruttiva, presente anche altrove (cf 1Pt 2,4-5; 1Cor 6,19; 2Cor 6,16, Ef 2,18-22), s'intreccia qui con altri temi, diretti a far capire alla comunità il compito suo e di Apollo come servitori tramite i quali è giunta alla fede. Nei versetti proclamati oggi, conclusivi del capitolo 3, ritorna la dialettica sapienza/stoltezza nel senso paradossale che esalta la seconda e mostra l'insufficienza della prima. Ovviamente si tratta della sapienza del mondo, che si rivela vana davanti al Signore. E, ritornando alla corretta intelligenza del ministero esercitato, Paolo osserva che nessuno può porre il suo vanto negli uomini. «Tutto è vostro!», afferma enfaticamente, «ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio».

La lettura evangelica è costituita dalle due antitesi con cui si conclude la sezione relativa alla reinterpretazione che Gesù dà della Legge. Si tratta della "legge del taglione" e dell'amore verso i nemici, istanza quest'ultima conclusiva e connotativa della "maggiore giustizia" che Gesù è venuto ad annunciare. La "legge del taglione" - l'«occhio per occhio e dente per dente» - in realtà proponeva un criterio di equità tra l'offesa subita e la pena da comminare a suo risarcimento. Rappresentava cioè un progresso rispetto al farsi giustizia da sé fuori da ogni regola. Gesù però radicalizza qualsivoglia istanza residua di soddisfazione, esortando a non opporsi al malvagio. E ciò è affidato al paradosso dell'offrire l'altra guancia a chi ci colpisce o del cedere anche il mantello a chi ci chiede la tunica. In quest'ultima esemplificazione, l'evocazione di un processo fa forse supporre la pratica dei pegni o del prestito. Quale che sia il significato che essa ha per gli ascoltatori di Gesù e per la comunità a cui Matteo s'indirizza, resta la paradossalità dell'ultima delle antitesi, relativa all'amore verso i nemici.

Nell'ottica dell'imminenza del Regno e della sua "maggiore giustizia" i discepoli non possono limitarsi all'amore verso un prossimo circoscritto alla cerchia dei figli di Abramo. La novità sta nell'acquisire come prossimo anche chi è loro ostile o li perseguita. I discepoli non possono limitarsi ad amare chi li ama. Lo fanno anche i peccatori e i pagani. La maggiore giustizia di chi segue Gesù deve andare oltre. Ed è qui che la lettura evangelica si raccorda al testo del Levitico oggi proclamato. Ciò vale per la solennità dell'espressione: «Avete inteso [...] ma io vi dico», analoga all'«Io sono il Signore», ma vale anche di più per l'imperativo di Gesù: «Siate perfetti come il Padre vostro è perfetto», del tutto corrispondente al «Siate santi perché io, il Signore, sono santo». La comunità dei discepoli non può percorrere vie minimali o secondarie.
La novità a cui si è chiamati è coerente alla santità/perfezione di Dio il quale non discrimina, ma su tutti riversa la ricchezza dei suoi doni. Seguire Gesù nell'amare il proprio nemico, pregare per quelli che ci perseguitano, essere figli alla maniera in cui lui è figlio, essere perfetti come il Padre sono istanze paradossali, iperboli suggerite dall'irrompere del Regno o sono regole, punti fermi che debbono connotare la comunità cristiana in ogni tempo? Gli esperti non sono unanimi nella loro interpretazione, anzi. Nello sfondo Gesù di Nazaret, il suo messaggio che facciamo fatica a cogliere nell'immediatezza fattuale. E, non meno rilevante, la lettura, la sistematizzazione teologica propria all'evangelista, non astratta o teorica, ma diretta a una concreta comunità. Personalmente avverto la seduzione di questo compiersi della Legge paradossale ed estremo.


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