SS. Corpo e Sangue di Cristo (A)

La Parola
Commento di Cettina Militello
Vita Pastorale (n. 5/2017)



ANNO A – 18 giugno 2017
SS. Corpo e Sangue di Cristo

Dt 8,2-3.14b-16a
1Cor 10,16-17
Gv 6,51-58
(Visualizza i brani delle Letture)


FACCIAMO MEMORIA
DEL SUO DONARSI A NOI

«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Proponiamo questo versetto come testo da interiorizzare. Vi ricorrono tre termini chiave: pane, carne, vita. Quest'oggi la partitura eucologica, le orazioni e la sequenza ci giungono da lontano e tradizionalmente vengono attribuite, come l'intera ufficiatura, a Tommaso d'Aquino. Ci trasmettono dunque la comprensione "medievale" del mistero del corpo e del sangue del Signore, che, poi, la polemica anti-riformatori nella prassi post-tridentina, ha altrimenti enfatizzato. Polemiche a parte, al cuore del mistero della Chiesa sta il partecipare al corpo e al sangue del Signore. L'eucaristia è il culmen della vita ecclesiale (cf SC 10; LG 11). Dall'eucaristia nasce la Chiesa, anzi, con espressione traslata, è l'eucaristia a "fare" la Chiesa, tutt'uno con quel "fare eucaristia" che è, appunto, l'azione qualificante la comunità ecclesiale. Nei testi proclamati, la lettura veterotestamentaria ha funzione "tipologica", quella apostolica ha valenza "ecclesiologica", quella evangelica propone lo "scandalo" di quel pane di vita che è la carne per noi donata.

La prima lettura raccoglie alcuni versetti da Dt 8. Siamo all'interno del cosiddetto "secondo discorso" di Mosè. Sappiamo, infatti, che questo espediente letterario connota la sintesi storico-salvifica che il Deuteronomio stesso propone. Nel richiamare la prova dei quarant'anni trascorsi nel deserto, nel ricordare l'azione potente di Dio che ha liberato Israele dalla condizione servile, il testo ricorda la "manna", sostitutiva del pane, miracolosamente fatta piovere da Dio così da saziare il suo popolo. Nell'orizzonte mediterraneo il pane, cibo fondamentale, è frutto della fatica dell'agricoltore e poi di chi dai grani macinati del frumento ricava la farina che, mischiata con acqua e sale, viene impastata, fatta lievitare e infine cotta così da offrire un sano quanto semplice e quotidiano nutrimento.
La manna ne è il sostitutivo in una condizione incerta in cui non si può trarre dal suolo alcun alimento. Essa è segno della benevolenza di Dio, del suo accompagnare il popolo che si è scelto, assicurandogli comunque, malgrado la prova, sicurezza e qualità di vita. Della manna, che ciascuno poteva raccogliere nella misura a lui necessaria (cf Es 16) e che assicura una sopravvivenza "materiale", parlerà Gesù nel vangelo di Giovanni, opponendole il pane che lui stesso è.

A mezzo però viene proclamato il testo di 1Cor 10,16-17. Esso non soltanto ci riconduce alla prassi della comunità cristiana primitiva, al suo raccogliersi per la "cena del Signore". Paolo qui, con una testimonianza assai antica e con una visione ecclesiologica di grande spessore, sottolinea la koinonia, la comunione sottesa al calice e al pane che la comunità consuma così partecipando al corpo e sangue del Signore. L'unico pane stabilisce, infatti, continuità tra l'unico Cristo e i molti cristiani. L'unico corpo che, benché molti, essi sono, è reso tale proprio dall'eucaristia che è insieme il corpo storico e il corpo glorificato del Signore. Nel suo tramite i cristiani sono costituiti tra loro stessi in comunione, così da formare tra loro e con Cristo un solo corpo.
Detto altrimenti il corpo eucaristico di Cristo ci rende partecipi del mistero della sua carne e del suo sangue, ma ci fa anche una sola cosa tra di noi, ci fa suo corpo, ci fa "Chiesa". Troppo spesso la nostra devozione connota la partecipazione all'eucaristia come un fatto individualistico e privato. Si tratta, invece, dell' ''essere'' Chiesa, del "diventare" Chiesa, dell'essere e del diventare "corpo di Cristo" nell'armoniosa compenetrazione dei "molti" resi un solo "corpo" dall'unico "pane". Contro ogni enfasi "idolatrica" relativa al corpo e al sangue del Signore, la lezione che ci viene dalle letture dovrebbe dunque ricondurci alla sua costitutiva dimensione ecclesiale.

La lettura evangelica accosta lo stesso mistero da altra prospettiva. Siamo all'interno del capitolo 6 di san Giovanni. Gesù ha compiuto una miracolosa moltiplicazione dei pani (vv. 5-13) e ancora una volta lo si acclama nella prospettiva di un messianismo taumaturgico e a effetto (14-15). Da qui la reazione di Gesù e la lunga "catechesi" nella sinagoga di Cafarnao (vv. 26-65) . Nei versetti proclamati (51-58) egli rivendica la sua identità di "pane vivo disceso dal cielo". Abbiamo già richiamato lo spettro antropologico del "pane". Qui lo caratterizza l'aggettivo "vivo". Il tema della vita e della vita eterna, il dono vero legato a un pane che è la sua stessa carne, sconvolge gli ascoltatori - i Giudei innanzi tutto (v. 41-42), gli stessi suoi discepoli (v. 66). Eppure Gesù insiste sul bere il suo sangue e mangiare la sua carne, dicendoli vero cibo e vera bevanda.
La connessione vitale, l'inabitare di Gesù nei suoi e dei suoi in Gesù, è affidata a questo cibo, assai diverso da quello pure provvidenzialmente fruito dall'Israele del deserto. Cibarsi della manna non ha sconfitto la morte. Cibarsi della carne di Gesù, bere il suo sangue è invece garanzia, certezza della vita eterna. Gesù insomma si colloca nel mistero della vita che è quello stesso dell'unione di lui al Padre, vita che Gesù solo può definitivamente donare a quelli che in lui credono. Il mistero del farsi prossimo del Padre nel Figlio e del Figlio a noi resta così affidato alla sua carne e al suo sangue.


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