XXVII Domenica del Tempo ordinario (A)

La Parola
Commento di Cettina Militello
Vita Pastorale (n. 9/2017)



ANNO A – 8 ottobre 2017
XXVII Domenica del Tempo ordinario

Is 5,1-7
Fil 4,6-9
Mt 21,33-43
(Visualizza i brani delle Letture)


LA STORIA, NOSTRO
LUOGO D'IMPEGNO

«La pietra scartata dai costruttori è divenuta la pietra d'angolo». Facciamo di questo versetto del Sal 118, più volte presente nel Nuovo Testamento, il tema guida del nostro accostare le letture. Con una simmetria perfetta, se possibile intensificata dalle strofe del salmo interlezionale (Sal 80), il testo di Isaia e quello della parabola matteana ripropongono il tema della vigna. Isaia, assai probabilmente il primo Isaia, ci ripropone il "canto della vigna", un canto forse della vendemmia da lui altrimenti rielaborato per significare, non diversamente da quanto avviene in Osea, Geremia ed Ezechiele, l'amore sponsale di Dio per il suo popolo. Il profeta presenta Dio stesso come colui che amorevolmente coltiva la vigna-Israele.
Non è facile per noi cogliere sino in fondo la finezza e congruità del paragone. Comprendiamo però come alla dilezione di Dio non corrisponda il suo popolo e come nella distruzione della vigna, della sua cinta, della sua torre... il profeta indichi il castigo che sta per abbattersi su Israele di cui denuncia la corruzione. Il salmo interlezionale - restando intatta la metafora - disegna invece, dopo la prova, il desiderio di riacquisire la condizione perduta, con la promessa di non più allontanarsi, nella speranza/preghiera che Dio conceda al suo popolo il ritorno.

Dalla Lettera ai Filippesi mutuiamo le esortazioni di Paolo a non angustiarsi, ma a presentare a Dio le proprie richieste. Il testo distingue: preghiere, suppliche, ringraziamenti e dobbiamo supporre che i tre termini abbiano valenze diverse. In effetti, preghiera suggerisce il colloquiale presentare a Dio ciò di cui si ha bisogno; supplica dice la preghiera che scaturisce da una situazione pesante e grave; né viene dimenticato il rendimento di grazie, il corrispondere a Dio con gratitudine a partire da quanto ci ha elargito. Paolo suggerisce una sorta di bonifica interiore, un aprirsi ai valori a tutto campo; a rivolgere i propri pensieri solo a ciò che merita lode. E, di nuovo, ci troviamo dinanzi a una successione di termini, anzi di participi. L'Apostolo invita a mettere in pratica quanto imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in lui. Si propone come modello e mostra consapevolezza del suo compito: far conoscere, trasmettere, mostrare con le parole e con i fatti quale debba essere l'atteggiamento autentico del cristiano, condizione stessa della pace, della prossimità al Dio della pace.

La parabola propostaci dal vangelo di Matteo è quella dei vignaioli omicidi. Il contesto è ancora una vigna di nuovo messa a dimora con ogni cura e dotata di tutto quanto serve a produrre buon vino. Il padrone dà la vigna in affitto a dei contadini i quali, però, bastonano i servi mandati a ritirare il raccolto una prima e una seconda volta. E, alla fine, uccidono lo stesso figlio, mandato nella persuasione che non oseranno fargli del male. La conclusione affidata agli stessi ascoltatori della parabola è che alla fine il padrone punirà con la morte i contadini ribelli e darà la vigna ad altri che gli consegneranno a suo tempo il raccolto. Gesù interloquisce citando una strofa del Sal 118 per concluderne che il regno di Dio sarà loro tolto e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti.
Capire il tema della pietra scartata, che diventa testata d'angolo, è fondamentale. Se, infatti, la metafora agricola oggi sembra prevalere, come tutte le metafore essa necessariamente acquista un più pieno significato se accostata ad altre che ne rafforzino il senso. La mattina di Pentecoste, citando gli stessi versetti, Pietro rivendica la glorificazione del Signore, vede in lui, il Crocifisso risorto, il capovolgersi dello scarto. La pietra ritenuta inadeguata quella, appunto, ricusata e non riconosciuta, è Cristo stesso, grazie al quale si costruisce la comunità, nell'intreccio delle pietre vive che, ciascuna a suo modo, sono chiamate ad articolarla e a sostenerla (cf Ef 2,20-22; 1Pt 2,4-10). E tutto ciò è miracolo, ossia meraviglia agli occhi, prodigio straordinario che svela la miopia degli interlocutori.

I capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo sono ancora i destinatari della parabola che proprio nel suo sviluppo dovrebbe avvertirli che il mancato riconoscimento del Figlio che il Padre ha inviato comporta di necessità che il bene prezioso del Regno passi ad altri. La metafora della vigna ritorna in quel portare frutto, che evoca gli acini acerbi del canto di Isaia e il rifiuto di rendere al padrone della vigna quanto la stessa ha prodotto. A portare frutto sarà così un popolo nuovo diverso dall'antico. Siamo dinanzi a un testo complesso nella redazione e nella storia della redazione. Ma, credo, ci sia possibile coglierne il messaggio cristologico ed ecclesiologico insieme. Cristo è la pietra scartata, che diventa pietra angolare della nuova costruzione che è la Chiesa. Essa è la vigna che passa ad altri vignaioli, così da far germinare, di far fruttificare il regno di Dio.
Al di là delle metafore più o meno prossime alla nostra cultura, un messaggio emerge, incontrovertibile, ed è quello del portare "frutto". Certo nello sfondo sta la comunità matteana dopo il 70, e ancora più lo stesso Gesù. Egli è stato ucciso alla maniera dei profeti, probabilmente adombrati nei servi inviati una prima e una seconda volta a raccogliere il frutto della vigna. Da qui la perentorietà di un giudizio legato comunque al fruttificare. Il che ci fa dire ancora una volta che il luogo nostro d'impegno è la storia. In essa e per essa occorre far germinare il regno di Dio portando "frutto". E ciò è solo possibile riconoscendo Cristo come pietra angolare.


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