XXVIII Domenica del Tempo ordinario (A)

La Parola
Commento di Cettina Militello
Vita Pastorale (n. 9/2017)



ANNO A – 15 ottobre 2017
XXVIII Domenica del Tempo ordinario

Is 25,6-10a
Fil 4,12-14.19-20
Mt 22,1-14
(Visualizza i brani delle Letture)


ANDARE ALLE NOZZE
CON VESTE ADEGUATA

«Andate ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete chiamateli alle nozze». Mi ha sempre intrigato questo voltafaccia del re che fece una festa di nozze per suo figlio, questo suo chiamare a ogni costo e senza distinzioni, così supplendo quelli che non hanno raccolto il suo invito. Ne leggiamo oggi la parabola, d'evidente sapore escatologico, non meno della visione di Isaia.

Il profeta descrive il banchetto ultimo, quello che si svolgerà sul monte santo, a Sion. Nessuno ne sarà escluso perché sarà preparato per tutti i popoli. Per essi grasse vivande e vini eccellenti. Il brano si colloca nella cosiddetta apocalisse maggiore di Isaia ed è attribuito al secondo dei profeti che stanno sotto questo nome. La metafora del banchetto, forse, ha ancora qualcosa da dirci, pure in tempo di fast food. E, in effetti, nella fatica del vivere che caratterizza la maggior parte degli uomini e delle donne, la metafora del banchetto suggerisce il massimo della gioia e della condivisione. Nelle parole di Isaia il banchetto, pure importante, è il contesto nel quale cadrà il velo che oscura la vista dei popoli stessi. Ecco il passaggio da una condizione faticosa e drammatica a un'altra assolutamente diversa: Dio eliminerà per sempre la morte; asciugherà le lacrime da ogni volto; riscatterà definitivamente il suo popolo. E in quel giorno il popolo riconoscerà il suo Dio e vedrà compiersi la sua speranza. Da qui la gioia, la grande gioia.

All'esultanza finale, a questa svolta risolutiva che segna il congedo dalla sofferenza, dalle lacrime, dall'oscurità per tutti i popoli, sembra indifferente il brano della Lettera ai Filippesi, nella quale Paolo afferma di saper vivere nella povertà come nell'abbondanza, nella fame come nella sazietà. In verità, Paolo sta rivendicando la capacità di far fronte a qualunque situazione a partire da Dio che lo sostiene. Non si tratta di ostentare l'apatheia, il dominio di sé sino a rimuovere il pathos stesso, ossia il sentire/soffrire che connota l'essere umano, ma di affermare la potenza di Dio che lo soccorre con la sua forza. Certo il ministero apostolico conosce traversie, difficoltà, ed è nell'ordine delle cose che sia così. Paolo ringrazia i Filippesi per essergli stati accanto, per aver preso parte alle sue tribolazioni e assicura che Dio colmerà i loro bisogni secondo la sua magnificenza.

Veniamo di nuovo alla parabola del banchetto. Tanto per cominciare non è un banchetto qualsiasi, ma un banchetto di nozze. A tutt'oggi ci si dissangua, pronti a dar vita a una festa spettacolare e memorabile, quasi fosse questo il nocciolo duro dello "sposare in Cristo". Figuriamoci dunque lo sfarzo di queste nozze regali, i cui invitati vengono raggiunti personalmente una prima e una seconda volta. Strani invitati che non se ne curano e restano a gestire i propri affari; peggio, che a un certo punto bastonano e uccidono i servi che sono andati a portar loro l'invito. Il re della parabola lava l'onta ricevuta con il sangue. Ma - e questo non è nelle regole - non rinuncia alla festa e nuovamente manda i servi a raccogliere ai crocicchi delle strade chiunque, perché venga al banchetto. Sicuramente l'enfasi universalistica di Isaia, il banchetto imbandito per tutti i popoli in Sion trova eco in questo riempirsi della sala. Ma l'ipoteca pedagogica chiede ancora altro. Visto un invitato privo della veste nuziale, il re ordina che venga buttato fuori e punito. Le parole conclusive le conosciamo: «Molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti».

La parabola è presente anche in Luca, manca però in essa la scena finale, quella dell'ispezione del re che fa buttare fuori e a forza colui che ha accolto l'invito ma è privo della veste. Inoltre in Luca ad esser raccolti sono ciechi, zoppi, insomma gli ultimi, quelli che di norma non vengono invitati a un banchetto. Probabilmente la parabola ha nella sua prima parte un possibile riferimento a Gesù, tanto più che si colloca nel quadro della disputa nello spazio del tempio con i sacerdoti e i notabili del popolo. La versione di Matteo probabilmente è congrua al criterio della giustizia più grande, relativamente al quale non basta accogliere l'invito ma occorre avere la veste adeguata. E poiché dai crocicchi delle strade non ci si può aspettare gente in abito da cerimonia, la veste ha una valenza simbolica e indica piuttosto la propria metabolizzazione dei valori del Regno, il proprio adeguarvisi e farli fruttificare. Resta, sicuramente, la valenza pedagogica semplificante del contrapporre chi ha la veste a chi non ce l'ha, e della condanna che colpisce chi, senza veste, è venuto alle nozze. Il luogo nel quale il malcapitato è condotto, il pianto e lo stridore di denti, evocano il giudizio a cui non è possibile sottrarsi. Ma, ripeto, vedrei in tutto ciò un avvertimento che l'evangelista rivolge a quei cristiani che potrebbero presumere d'essere arrivati, mentre ancora e sempre la fede chiede d'essere tradotta alacremente.
Quale che sia la contestualizzazione immediata della parabola e della sua sentenza finale, la questione di fondo resta quella dell'accogliere Gesù, il più delle volte in Matteo affidata a parabole che nelle nozze hanno la loro ispirazione. Anche se nel vangelo Gesù non è mai indicato come lo sposo, di sicuro il compiersi del suo evento ha connotazioni nuziali. D'altra parte le nozze e il banchetto dicono il mistero della divina condiscendenza: Dio ci si fa consorte e ci si fa cibo. Le parabole si avvalgono di queste istanze, a modo loro archetipali, e le declinano indicandoci a un tempo l'identità di Gesù e il dovere nostro d'essergli discepoli autentici, mai sprovvisti della veste nuziale.


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