XXXIII Domenica del Tempo ordinario (A)

La Parola
Commento di Cettina Militello
Vita Pastorale (n. 10/2017)



ANNO A – 19 novembre 2017
XXXIII Domenica del Tempo ordinario

Pro 31,10-13.19-20.30-31
1Ts 5,1-6
Mt 25,14-30
(Visualizza i brani delle Letture)


CREDENTI IMPEGNATI
PER I VALORI DEL REGNO

«Servo buono e fedele […] prendi parte alla gioia del tuo padrone». Questa interpellanza costituisce la cifra dell'ultima domenica dell'anno liturgico. Il tema escatologico ne caratterizza le letture, quella apostolica e quella evangelica, soprattutto, mentre va per vie tutte sue la lettura veterotestamentaria, tratta dal libro dei Proverbi, che ci mette dinanzi alla lode per la donna forte. Fascino e bellezza passano, ma una donna timorata di Dio è degna comunque e sempre di lode.
La parabola dei talenti sta anch'essa all'interno del capitolo 25 di Matteo ed è ultima e perciò prossima alla rappresentazione del giudizio che, appunto, lo chiude. Talento, come si sa, è la moneta in uso, moneta pesante come si intuisce dal fatto che il padrone che sta per partire distribuendo il suo affida ai tre servi, cinque, due, un solo talento. La partitura è quella della distribuzione e poi, al ritorno, del rendiconto sul bene ricevuto. Sappiamo che i primi due servi raddoppiano il capitale, mentre il terzo lo restituisce intatto, avendo preferito non rischiare di perderlo. Per i primi due la lode del padrone; per il terzo invece solo riprovazione e castigo.
Ovviamente, c'è da chiedersi cosa rappresentino i talenti. Non certamente quelle doti naturali oggi significate dal termine talento. Per intenderci, non è neppure questione di carismi. Né d'altra parte il senso può essere solo quello legato al rendimento economico e quindi al rischio premiato ottenendo la moltiplicazione della somma ricevuta in affido. In questione è piuttosto il condursi del cristiano. La preoccupazione di Matteo è diretta a scongiurare l'inattività, la passività, il lasciarsi andare dei credenti nell'attesa della parusia. Ciò che esige è invece la loro operatività, il loro impegno. Ecco perché i primi due servi ottengono un premio che alla fin fine è quello dell' entrare in intimità di vita con il loro padrone, mentre proprio da questa intimità è escluso il terzo servo, la cui condanna evoca quelle analoghe già comminate nel corollario del pianto e dello stridore di denti.

L'attesa del ritorno del Signore non può giocarsi ipotizzando narcisisticamente una salvezza acquisita. Il vangelo di Matteo mette l'accento su comunità non ripiegate su sé stesse e paghe di sé ma attivamente impegnate, pronte a tradurre i valori del Regno. È questo il senso del dare e in abbondanza a chi ha e del togliere invece a chi non ha anche il poco che ha. Non è questione di finanza, ma piuttosto di coerenza di vita. L'ignavia non paga, anzi distoglie dalla ricchezza del Regno di Dio. Attenderne la venuta definitiva, accogliere il Signore che viene è farsi trovare a lampade accese con olio abbondante, farsi trovare ricchi di quella alacrità che cambia la storia e le stesse comunità rendendole più degne di lui che viene.
Solo così possiamo sperare che le parole: «servo buono e fedele [...] prendi parte alla gioia del tuo padrone» vengano rivolte anche a noi. Ecco appunto, ciò che attendiamo è la gioia dell'incontro pieno con lui. Una gioia che occorre conquistare giorno dopo giorno facendo fruttare quanto da lui stesso ricevuto.


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