Gesù Cristo, Re dell'universo
XXXIV Domenica del Tempo ordinario (A)

La Parola
Commento di Cettina Militello
Vita Pastorale (n. 10/2017)



ANNO A – 26 novembre 2017
Gesù Cristo, Re dell'universo - XXXIV Dom. del T.O.

Ez 34,11-12.15-17
1Cor 15,20-26.28
Mt 25,31-46
(Visualizza i brani delle Letture)


CRISTO RE:
FESTA DELLA FRATERNITÀ CRISTIANA

La solennità di nostro Signore Gesù Cristo Re dell'universo è recente e liturgicamente si spiega solo come reazione alle ideologie degli anni tra le due grandi guerre nel secolo XX. Contrapporre la regalità di Cristo alle distorte potenze che avrebbero ferito profondamente l'Europa non bastò comunque a scongiurare il dramma, se mai provocò una sorta di ricaduta nel segno dell'onnipotenza su quella Chiesa che avrebbe dovuto confessare la regalità del suo Signore.
Così come stanno attualmente, per l'ultima domenica dell'anno liturgico, nel passaggio alla prima domenica d'Avvento dell'anno nuovo, le letture mitigano il rischio di una ricaduta autoreferenziale proponendo la regalità di Dio nella metafora del "pastore", celebrando il compiersi della regalità di Cristo alla fine della storia, proclamando il ritorno di lui nella gloria, definitivamente re e giudice. Perla da accogliere e sempre più metabolizzare l'affermazione: «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me».

La venuta gloriosa di Cristo apre il brano evangelico che chiude Matteo 25. Lo scenario è quello dell'apocalittica giudaica: angeli, trono, gloria, raduno dei popoli. E di nuovo la metafora del pastore che separa le pecore dalle capre, collocando le prime a destra e le seconde a sinistra. Il Figlio dell'uomo diventa re e giudice. Sappiamo bene come la lode delle pecore trovi ragione nel fatto che esse lo hanno nutrito, dissetato, accolto, vestito, visitato mentre era malato o carcerato. La tradizione successiva ha colto in questo agire l'elenco tutto delle opere di misericordia. In verità, si è sino in fondo persone umane facendo spazio ai bisogni degli altri. E poiché il re ha personalizzato quest'esercizio di cura, la risposta è quella che abbiamo già indicata: qualunque gesto compiuto a favore anche del più piccolo tra i fratelli è diretto a Cristo stesso. Da qui l'invito a ricevere in eredità il Regno preparato sin dalla creazione.
Non insistiamo sul dittico negativo, su quelli che hanno negato cibo, bevanda, vesti e altro ancora, né sulla sentenza finale. È chiara la valenza pedagogica della rappresentazione. Ma proprio per questo vorrei insistere sul termine "fratello", caro a Matteo, ma non soltanto. Nel Nuovo Testamento adelphos/adelphé è il termine più usato per indicare i cristiani che, così riconoscendosi, iscrivono sé stessi in un circolo di totale prossimità. Non si tratta di una prossimità di sangue o politica o sociale. Si tratta della "nuova famiglia" dei discepoli il cui referente è il Padre "nostro", e il Figlio "suo", fratello di quanti ne ascoltano la parola e ne seguono il volere.
La solennità di Cristo diventa, dunque, festa della fraternità cristiana e deve convertirci a scoprire nell'altro, in ogni altro, Cristo stesso che ha fatto propria la nostra carne. Fuori da ogni trionfalismo culturale e/o confessionale, quello che oggi celebriamo re è un ebreo umiliato sino alla morte di croce, per la potenza dello Spirito vincitore del peccato e della morte. Essere alla sua sequela, regnare con lui è accettare la sfida, il limite della carne e soccorrerla, curarla, sino a quando egli stesso non ci farà riposare sui pascoli erbosi a cui ci conduce.


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