Commemorazione dei fedeli defunti

La Parola
Commento di Cettina Militello
Vita Pastorale (n. 10/2017)



ANNO A – 2 novembre 2017
Commemorazione dei fedeli defunti

Gb 19,1-23-27a
Rm 5,5-11
Gv 6,37-40
(Visualizza i brani delle Letture)


PER IL CRISTIANO LA MORTE
NON È L'ULTIMA PAROLA

«Questa è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell'ultimo giorno». I versetti del canto al vangelo, tratti dal testo stesso che oggi viene proclamato, ci offrono la chiave di una celebrazione ancora in molti luoghi molto sentita. Essa propone la transignificazione, ossia la reinterpretazione cristiana di un'attitudine comune a tutte le religioni e a tutte le culture.
Non è esagerato, credo, cogliere nella pietà verso i morti, nelle pratiche di seppellimento, il primo segno di "umanità". L'homo sapiens appare nella sua identità allorché ritualmente ricorda quelli del suo gruppo che hanno già sperimentato la morte. Proprio questa ritualità svela anche la consapevolezza che la morte non può essere l'ultima parola, ma che oltre e attraverso di essa si accede a una condizione diversa e definitiva.
La Liturgia ci propone espressioni immaginifiche. Esse però acquistano spessore nuovo nella prospettiva cristiana, che nella fede nel Risorto confessa il dono da lui elargito della vita eterna, tutt'uno con la risurrezione della carne. Consepolti con lui nelle acque del battesimo, come lui sigillati dall'unzione del suo Spirito, i cristiani confessandolo Messia lo confessano anche come il Signore della vita, a tutti elargita sconfitta la morte.

Affermazioni che trovano compiutezza nel brano evangelico, tratto da Gv 6. E anche questo brano leggiamo nella ampiezza di una lunga metabolizzazione ecclesiale. I versetti ascoltati non possono essere separati né dal miracolo della moltiplicazione dei pani così come lo propone il vangelo di Giovanni, né dal lungo discorso che lo accompagna. In esso Gesù indica sé stesso come il pane vivo disceso dal cielo e pone come condizione d'immortalità mangiare la sua carne e bere il suo sangue. Credere in lui è acquisire la vita e acquisirla definitivamente.
E ciò è possibile accettando di partecipare alla sua morte. Perciò la comunità si raduna per fare memoria del suo darsi per noi compartendone la carne e il sangue. Questo è il senso del nostro raccoglierci commemorando i fedeli defunti. Questo è il senso del suffragio, ossia della comunione istituita con essi nel tramite dell'eucaristia. Ricordiamo che anch'essi sono membra vive del corpo di Cristo e cementiamo la nostra unione con loro partecipando a quell'unico pane che ci dona la vita eterna.
Quale che sia la molla nativa della presenza di questa celebrazione nel calendario latino - si tratta di un uso dei monasteri celtici che, nel secolo IX, passa poi alle Chiese d'Occidente - essa ha un indubbio spessore ecclesiologico; né a caso le Chiese d'Oriente fanno memoria dei defunti immediatamente dopo la Pentecoste. La commemorazione conforta la comunità cristiana e la rassicura circa quanti dormono già nel Signore ricordando qual è il disegno salvifico di Dio: non perdere nulla e tutti risuscitare nell'ultimo giorno. Sì, risuscitare. Non reincarnarsi, non vivere una vita altra scorporata e disincarnata. La vita eterna donataci nel Figlio include la risurrezione nella nostra carne. La vita eterna che ci è già donata non ci sarà tolta ma potenziata nella compiutezza di una carne definitivamente sottratta all'infermità e al limite.


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