Uno sguardo al passato


Il diaconato in Italia n° 200
(settembre/ottobre 2016)

EDITORIALE


Uno sguardo al passato
di Giuseppe Bellia

Nel congedare questo fascicolo, il numero 200 della rivista dei diaconi italiani, non si può non ricordare innanzitutto quanti, in questi decenni, si sono impegnati a svolgere con passione e studio un concreto servizio a favore del ministero diaconale nella nostra Chiesa. Già in passato scrivevo, scorrendo i primi cento numeri della rivista, che un insieme di ricordi, di progetti e di sogni quanto mai contrastanti si affollavano inevitabilmente nella memoria, suscitando una congerie di sensazioni e di pensieri non facili da governare. Al presente, dopo oltre 120 numeri da me curati, reminiscenze, impressioni e giudizi, insieme a volti e voci, provavano a ricongiungersi in una trama di ricordi stilizzati che con fatica cercano di raggiungere una qualche assennata linea di connessione storica sul senso di questo perseverante impegno per la rivista dei diaconi.
Il sentimento prevalente, senza troppe resistenze, si ricompone nei toni discordi di una nostalgia lucida e disarmante, a tratti negata. Una pervasiva e sottile inquietudine allora si fa strada in mezzo ai ricordi per i tanti progetti, per le attese, per le speranze e per le non poche energie profuse che hanno segnato rapporti umani e traversato vicende ecclesiali per oltre mezzo secolo. Impegni generosi e contrastati, di sicuro non immuni da errori e ingenuità, a volte resi inutili da zelo mal riposto, a volte da dilettantismi e oscurantismi che hanno scoraggiato per il loro peso ingombrante. Una sensazione di amarezza che, ancora una volta, si stempera davanti alla solare consolazione che ci deriva dalle Scritture che ci invitano (cf Mt 7,17-18) a guardare fiduciosi avanti, per considerare il passato senza atteggiamento recriminatorio, facile a pencolare verso il risentimento e il rancore di chi si dichiara deluso per una speranza invano attesa e ricercata (cf. Lc 24,13-24).
Dopo oltre un quarto di secolo, possiamo costatare che la nostra rivista sia rimasta l'unica a occuparsi a tutto campo del servizio diaconale, seguendo il cammino che va dal discernimento alla formazione e dal ministero alle nuove frontiere di impegno apostolico. Mi sembra giusto conservare per le giovani generazioni dei diaconi alcune di queste memorie perché aiutano a comprendere in parte anche il percorso storico-pastorale delle nostre chiese. Cercherò qui di sottrarre all'oblio non tanto la storia della Comunità del diaconato in Italia che sulla rivista più volte è stata raccontata da qualificati associati e interpreti, ma di segnalare alcuni momenti nodali che hanno segnato l'evolversi dell'impegno editoriale. Correva l'anno 1991 ed era per me ancora viva la memoria del vescovo Giuliano Agresti che mi aveva accolto nella Chiesa di Lucca. Ricordo ancora lo stupore che mi procurò la visita di due diaconi reggiani, Lorenzo Tagliaferri e Gian Paolo Cigarini, inviati da don Giuseppe Dossetti per chiedermi di dare una mano alla rivista Il diaconato in Italia per le aggravate condizioni di salute di don Alberto Altana e per la situazione di stallo delle pubblicazioni. La diaconia spoglia e fruttuosa di don Alberto si legava mirabilmente al ministero del vescovo appena scomparso, suo amico e sostenitore, un pastore che con lucidità aveva creduto e con tenacia aveva operato, tra molte resistenze e incomprensioni, per far decollare nella Chiesa italiana il diaconato, nella forma permanente e uxorata, voluta dal Concilio.
Fui convocato a Reggio Emilia e dopo un primo caloroso incontro, presenti tra gli altri Vittorio Cenini, Sandro Panizzi e Antonio Burani, mi fu chiesto di collaborare all'organizzazione del Convegno nazionale dei diaconi del 1992 ad Assisi e di tracciare qualche linea orientativa per il rilancio della rivista, per sostenerla contenutisticamente e arricchirla teologicamente. Il progetto in seguito da me presentato, fu accolto e condiviso con soddisfazione, non senza qualche comprensibile esitazione da parte del più vasto circuito dei diaconi reggiani, prendendo forma solo in parte riportata nella nota editoriale del numero 90 della rivista che usciva già rinnovata nella sua veste grafica.

Alcuni punti da cui ripartire
Mi sembra istruttivo qui ricordare alcuni punti fermi allora individuati e, dopo animati confronti, concordati come base di partenza per il successivo impegno di studio e di intervento della rivista sul senso ministeriale della presenza del diaconato nel nostro variegato contesto ecclesiale.
- I diaconi possiedono il sacramento dell'ordine e ne fanno parte. Con la sola eccezione del canonista Beyer che metteva in dubbio la sacramentalità del diaconato, si riaffermava con Ignazio di Antiochia che, «senza il vescovo, i presbiteri e i diaconi non si dà chiesa» (Lettera ai Trallesi 3,1). D'altra parte il concilio, nella Lumen Gentium, affermava che il servizio dei diaconi è «sostenuto dalla grazia sacramentale» (paragrafo 29).
- Sono strettamente legati al vescovo e dalla vitalità di questo vincolo può venire lo scioglimento delle non poche incertezze che travagliano la condizione dei diaconi. In concreto i diaconi devono essere orientati verso un'obbedienza creativa più che una sudditanza amorfa o per contrasto verso una fallace autonomia e indipendenza. D'altra parte ci si rendeva conto che il diaconato poteva essere esercitato in tutta la sua ricchezza solo se i vescovi se ne assumevano fino in fondo la promozione, la guida e il discernimento delle funzioni.
- Sono segno sacramentale di Cristo servo perché «a loro è affidata la diaconia di Gesù Cristo (Ignazio, Lettera ai Magnesii, 6,1); non hanno il compito della mediazione sacerdotale di consacrazione, ma il servizio ministeriale della Parola e della mensa eucaristica. Il compito dei diaconi consiste nell'aiutare la Chiesa a mantenere la continuità tra culto liturgico e carità. Se dalla diaconia verbi derivava un ministero di evangelizzazione degli ultimi e dei marginali, allo stesso modo dalla diaconia eucaristica, per naturale dilatazione storico-salvifica, derivava il servizio alle mense, reso ai fratelli e ai poveri. Si doveva portare la Chiesa ai poveri per condurre i poveri a prendere parte all'eucaristia.
- Sono gli animatori ordinari del servizio nella comunità dei credenti; i diaconi in particolare sono chiamati a promuovere il servizio di tutto il popolo di Dio, sul modello esemplare e normativo offerto da Gesù, venuto a lavare i piedi ai suoi per insegnarci a usare misericordia lavando i piedi dei fratelli.
- Un'ultima notazione voleva che i diaconi fossero impegnati dentro la chiesa a diventare lieti promotori di fraternità, per sviluppare quel senso comunitario che serviva a dare qualità evangelica ai rapporti interpersonali. Si dovevano allora conoscere e seguire con maggiore cura le esperienze di servizio concretamente vissute nelle nostre chiese per mostrare un patrimonio di grazia, fatto di competenze e di sensibilità che indicavano campi di lavoro pastorale poco frequentati ma quanto mai appropriati per far conoscere un servizio più rappresentativo dal carisma diaconale.
In sostanza, prendendo atto che l'introduzione del diaconato in Italia, pur tra non poche resistenze e incomprensioni, poteva dirsi ormai avviato in molte chiese, specie del Centro-Sud, s'imponeva la necessità di guardare avanti. Si doveva passare dalla fase pionieristica e un po' volontaristica degli inizi a una stagione più aperta e pensata, ma non per questo meno appassionata e generosa, per divulgare un'informazione del ministero diaconale rinnovata e adeguata al rapido mutare dei tempi e della stessa concretezza ecclesiale e offrire una conseguente e più funzionale formazione ministeriale ai diaconi.
Si aspettava con ansia in quel tempo la pubblicazione del testo definitivo sul diaconato, approvato dalla CEI nell'Assemblea generale tenuta nell'ottobre precedente a Collevalenza, ma ancora sprovvisto della necessaria recognitio degli organi della Santa Sede. In ogni caso era indispensabile coinvolgere teologi e liturgisti perché prendessero in maggiore considerazione l'evento diaconale, ancora in gran parte disatteso dalla ricerca teologica. Soprattutto era necessario approfondire e far comprendere come nella Chiesa le funzioni cultuali e caritative, attraverso la centralità dell'Eucaristia, trovavano nella figura del diacono il punto di collegamento liturgico e pastorale. Spettava, infatti, al diacono con la sua azione sacramentale e caritativa diretta verso il fuori, i lontani e i poveri, rendere visibile la natura spirituale, pneumatica e non virtuosa o etica della diaconia cristiana. Il diacono era chiamato a testimoniare come il servizio reso a Cristo si congiungeva e si mostrava nel servizio reso ai fratelli a tutti gli uomini e a tutto il mondo.
L'apporto della nostra riflessione teologica, unitamente al contributo di don Tullio Citrini aveva indirizzato per vie diverse la nostra rivista a considerare la diaconia ordinata il luogo di comprensione della kènosi divina, realizzando quel paradosso soltanto cristiano che vede nella ministerialità il "potere di servire". L'agire del diacono si doveva allora manifestare come spossessamento del proprio io a favore di colui nel cui nome si agisce e a favore dei fratelli, dei piccoli e degli ultimi per i quali è stato costituito ministro.
La teologia doveva aiutare a ripensare il servizio cristiano connaturando la potestas donata dall'alto non all'arroganza del potere mondano ma alla volontà umile e all'esempio servizievole di Cristo che aveva dato ai suoi la consegna di servire. I segni dell'apertura della rivista ai necessari cambiamenti richiesti dal rapido maturare degli eventi ecclesiali, si potevano già cogliere fin dal primo numero, nell'uso innovativo accordato alle scienze umane, per conoscere il profilo sociologico del diacono italiano, colto non in astratto ma nella sua concreta realtà spazio-temporale; nello stesso tempo si cominciava a dare voce alle donne per conoscere e valorizzare quel peculiare "sentire al femminile" su studi, ricerche, questioni ed emergenze legate alla diaconia.

Il tempo dei primi bilanci
Correva l'anno 1997 e per i diaconi era arrivato il tempo dei primi bilanci. Era arrivato un nuovo editore, il diacono Luciano Forte che con mente imprenditoriale voleva offrire un servizio all'intera comunità diaconale prendendosi l'oneroso impegno di qualificare e rilanciare la rivista. A trent'anni dal motu proprio Sacrum Diaconatus Ordinem che dava attuazione alle decisioni conciliari sul ripristino del diaconato nella Chiesa universale, e in attesa del Direttorio della Congregazione per il Clero sui diaconi, cui ci è stato chiesto dall'allora segretario mons. Sepe di dare il nostro personale contributo, in molti sentivano il bisogno di avviare una riconsiderazione serena e rigorosa sul senso e sulla reale portata della diaconia ministeriale nelle diverse chiese. Si aveva l'avvertenza che, accanto alla buona prova che il diaconato aveva dato di sé, permaneva una zona d'ombra per le persistenti incertezze e i ripetuti tentennamenti verificatesi nei primi decenni di ministero.
In pratica si stava gradualmente sviluppando un modo di sentire al ribasso la diaconia, caratterizzata da una precisa tendenza a concepire i diaconi come manovalanza fidata per gli impegni curiali delle diocesi ostacolando il consolidamento sacramentale della diaconia ordinata nelle diverse chiese. I rilievi critici riguardavano il complessivo stato di salute della diaconia in Italia che, per quanto fascinosa e imponente per l'opera di singoli diaconi, nell'insieme dava l'impressione di essere simile a uno scafo arenato nei bassi fondali di una prassi ecclesiale di corto respiro che stava trasformando l'accoglienza ecclesiale in un soffocante abbraccio clericale. La ragione era individuata in quell'orientamento, ancora oggi diffuso, che mostrava gli ordinati, per la rapida diminuzione dei presbiteri, più sensibili alle esigenze strategiche di mantenimento delle posizioni clericali sul territorio che attenti alle capacità e alle attitudini umane e spirituali dei singoli ministri. La stessa indolenza era mostrata verso le esigenze profetiche richieste per una coinvolgente riscoperta della radicalità del servizio, secondo l'intendimento coraggioso voluto dal Concilio Vaticano II.
Luci e ombre più volte analizzate dalla Comunità e sempre a più riprese segnalate con garbo dalla rivista, vedi ad esempio i contributi di Giorgio De Benedittis e di Andrea Spinelli, denunciando i rischi di un'involuzione prassistica che portava a leggere in modo "simbolico" il servizio diaconale. Si è denunciato senza sconti questo primato funzionale che rendeva gradualmente il diaconato, una cosa astratta, "impalpabile" e dunque "inservibile", facendolo così scadere da preziosa vocazione profetica ad atteggiamento pragmatico tanto innocuo quanto inespressivo.
Per evitare questi rischi e per riaffermare la diaconia come segno di una chiesa chiamata a essere sempre più povera e "serva", negli ultimi cinque anni, la rivista si era impegnata, in verità con poca compagnia, ad approfondire e a riscoprire la dimensione biblica e il senso teologico della diaconia ordinata, per alimentare la speranza di quanti avevano sinceramente creduto in questa iniziativa conciliare. Solo un forte colpo d'ali avrebbe potuto riportare in alto le speranze di chi credeva che il diaconato era una cosa seria, un dono prezioso consegnato dallo Spirito alle chiese, un'opportunità storica unica che non ci si poteva rassegnare a perdere. Si voleva sollecitare a non spegnere lo Spirito, a non disprezzare le profezie e a esaminare con discernimento ogni cosa (cf. 1Ts 5, 19s). Eravamo fiduciosi che il soffio dello Spirito poteva rendere di nuovo luminoso il giovane e faticoso cammino diaconale, liberandolo dalle strettoie delle rinascenti tendenze clericali che, mentre ne consacrano l'utilizzazione a fini di praticità cultuale o pastorale, ne danneggiavano la specifica presenza eucaristico-ecclesiale e ne sminuivano l'originale figura sacramentale di raccordo con i poveri.
Tutte le iniziative messe in campo dalla più nutrita e qualificata presenza redazionale, la rinnovata e raffinata veste grafica, la scelta di variare le pubblicazioni ospitando saggi e studi destinati alla formazione permanente e lo stesso qualificato apporto di un editore amico per la diffusione in campo nazionale, avevano un unico obiettivo: disporre di uno strumento più maneggevole e coinvolgente capace di informare con rigore e puntualità su quanto lo Spirito non cessa di compiere nelle nostre realtà ecclesiali e di proporre, a quanti sono interessati ad approfondire a vario titolo il senso della diaconia ordinata, tutte quelle tematiche utili per un serio e praticabile aggiornamento teologico e ministeriale.

L'essenza e il ruolo del ministero diaconale
Correva l'anno 2005 e i frastuoni di un cambiamento nel concepire l'essenza e il ruolo del diaconato sacramentale, proveniente dai luoghi alti, cominciavano a farsi sentire generando non poco turbamento all'interno dei gruppi diaconali. Un senso di scoramento prendeva corpo tra i diaconi, sia in quanti già si sentivano dimenticati dalle rispettive Chiese, sia per quelli che gemevano perché sovraccaricati d'incombenze e incarichi affatto diaconali. Mentre dovunque si irrigidivano i criteri di formazione culturale e teologica dei candidati, equiparati agli studenti dell'ISSR che si preparavano per diventare insegnanti di religione, si temeva una dura stagione di restaurazione.
In molti temevano che fosse l'inizio di una nuova fase d'ibernazione del diaconato nella sua forma permanente; con il ritorno del latino si favoriva il riflusso verso le devozioni private a spese della liturgia. Tra un onesto recupero della memoria e il casto desiderio di una più intensa cura editoriale si stabilì di operare con più determinazione e dedizione per fugare ogni timore e superare quel blocco nello sviluppo ecclesiale e teologico della diaconia ministeriale che lentamente rischiava di corrodere le speranze generate dalle attese conciliari. La comunità e il comitato di redazione, con il nuovo corso editoriale, s'impegnavano a confezionare numeri monografici con frequenza bimestrale, più agili e puntuali, per venire incontro alle legittime richieste d'informazione diaconale come anche ai necessari orientamenti per una valida formazione alla diaconia.
E oggi? I lettori possono giudicare se qualcosa di quel progetto in questi ultimi anni si è potuto fare. Il nostro compito rimane quello degli inizi: se il diaconato è interpretato e vissuto secondo l'intendimento evangelico è tutta la chiesa a essere promossa per una conformazione sempre più piena alla diaconia di Cristo. Questo non può essere realizzato volontaristicamente ma solo con la fattiva collaborazione di vescovi, teologi, presbiteri, diaconi, ma anche attraverso una rinnovata attenzione di parrocchie, comunità e famiglie. Il nostro augurio è d'incontrare il consenso e la collaborazione di nuovi lettori, invitati a intrattenere un fruttuoso dialogo con la nostra rivista.


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