Due Sacramenti di Servizio: Matrimonio e Ordine




DUE SACRAMENTI DI SERVIZIO
MATRIMONIO E ORDINE
E MODALITÀ DI VITA NELL'AMBITO DEL SACRAMENTO DELL'ORDINE

"non c'è vocazione ecclesiale che non sia familiare"
Papa Francesco [1]
Dal Catechismo della Chiesa Cattolica:

Parte II, Sezione II, Capitolo III - Articolo 6 - Il Sacramento dell'Ordine
1536. L'Ordine è il sacramento grazie al quale la missione affidata da Cristo ai suoi Apostoli continua ad essere esercitata nella Chiesa sino alla fine dei tempi: è, dunque, il sacramento del ministero apostolico. Comporta tre gradi: l'Episcopato, il presbiterato e il diaconato.

Parte II, Sezione II, Capitolo III - Articolo 7 - Il Sacramento del Matrimonio
1601. Il patto matrimoniale con cui l'uomo e la donna stabiliscono tra loro la comunità di tutta la vita, per sua natura ordinata al bene dei coniugi e alla procreazione e educazione della prole, tra i battezzati è stato elevato da Cristo Signore alla dignità di sacramento.

A fronte dell'unico Sacramento dell'Ordine nei suoi tre gradi, tutti coloro che la Chiesa ordina per il servizio al popolo di Dio nei gradi di Diacono, Presbitero o Vescovo si trovano a vivere, a parità di ordinazione, situazioni concrete molto diverse l'una delle altre.
Uno schema esemplificativo di diversi stati di vita nell'ambito dei tre gradi del Sacramento dell'Ordine:

(tabella da leggere in orizzontale)


*     con voti di povertà, castità e obbedienza.
**   il Sacramento non va in pensione, solo alcune funzioni giurisdizionali.
*** Nelle Chiese Riformate non esiste il Sacramento dell'Ordine;
       gli Anglicani sono Ordinati (sposati o celibi), anche le donne.


Come si può notare con una veloce scorsa, anche senza una puntuale descrizione delle singole definizioni, nella vita del singolo Ordinato la concreta applicazione della specificità rapportata al grado della propria ordinazione, è chiaramente diversa da un esempio all'altro.
Poiché qui voglio parlare della vocazione diaconale e di come questa vocazione si può esprimere nella quotidianità di vita di un uomo adulto, sposato, impegnato professionalmente e impegnato come diacono nella Sua Chiesa con il Suo Vescovo, voglio semplicemente dimostrare che i due Sacramenti non solo non entrano in conflitto, ma si danno forza e vita l'un l'altro, creando la figura, inedita prima del Concilio Vaticano II, del diacono (permanente) uxorato.

Matrimonio e ordinazione diaconale, quindi, non sono due Sacramenti che si sommano o si susseguono in maniera aritmetica; quindi non e corretto dire:
prima viene la famiglia, poi il lavoro, e solo dopo il ministero (prima 1, poi 2, infine 3).
Questa frase viene spesso citata ai diaconi o agli aspiranti diaconi, quasi a garantire che nessuno darà loro fastidio chiedendo cose che non possano (o forse non vogliano) fare; in altre parole:
fatti ordinare, tanto noi ti daremo meno fastidio possibile, poi vedi tu quello che puoi fare.
Il tutto sottende anche un'altra affermazione, una mutua richiesta:
anche tu, ovviamente, non chiedere (alla Chiesa) troppo; noi ti lasciamo libero il più possibile, e anche noi ci sentiamo liberi da te e dal tuo impegno che è comunque sempre a carico tuo.
Quindi:
quello che puoi, fai - se non puoi, non sei obbligato.
Questo modo di pensare, un (retro) pensiero che si traduce velocemente in modo di agire, nasce dall'assioma:
tu diacono ti mantieni con il tuo lavoro (altrimenti non ti avremmo ordinato). Per questo motivo, poco ti chiedo, poco mi dai, io non mi lamento, e tu sei sempre giustificato ma non chi edere mai nulla.

Questo modo di pensare, nell'ipotesi in cui si dovesse veramente verificare, (in questi esempi anche un po' esagerati ma verosimili) obbligherebbe sia il singolo che tutto il collegio Diaconale ad uniformarsi al basso, al minimo dell'impegno, e questo sarebbe francamente avvilente.
Esiste quindi, nei confronti dei diaconi permanenti che lavorano per mantenersi e non sono a disposizione del Vescovo a tempo pieno, una riserva aprioristica che fa sì che vengano considerati quasi dei liberi professionisti il cui impegno diaconale è un'opzione, se e quando si può e se e quando si vuole.
Questo per motivi legati sia all'assoluta mancanza di ogni tipo di retribuzione (spesso anche senza rimborso spese) sia al fatto che il diacono, avendo famiglia, ha oggettivamente dei doveri che non permettono la sua totale parificazione con i celibi presbiteri che, sostenuti anche economicamente dalla Chiesa, possono più facilmente gestire l'impegno nelle Parrocchie o nella stessa Curia.
Nel diacono permanente si realizza quello che scrisse don Primo Mazzolari: "Se la gente ci vedesse guadagnare il pane come loro e un po' più onestamente di loro, la religione si farebbe strada senza molte prediche e molte organizzazioni" [2].
Don Mazzolari si riferiva ai preti, ma questa frase si è poi realizzata nei diaconi. Questo fa di noi diaconi un ponte formidabile tra la Chiesa istituzionale, vista un po' distante dal popolo e il popolo stesso, per riconciliare la vita comune dei fedeli (lavoro, famiglia, chiesa) con i preti che, non avendo un lavoro, una moglie e dei figli, appaiono lontani dai comuni affanni quotidiani della gente comune.
Infatti, come dice Enzo Petrolino [3], "Nel DNA dei diaconi è superato il dilemma tra spirituale e temporale, e la divisione radicale tra sacro e profano, poiché i servizi che la chiesa attribuisce loro non sono o-o ma e-e. La stola e il grembiule. L'altare e le mense. Qui si incontrano missione e diaconia: la chiesa non è signora ma serva, per volere di Dio, nei confronti dell'umanità intera e di tutte le creature, affinché il Regno arrivi ai confini della terra e abbracci tutti i popoli".

Un elemento, quindi, si nota facilmente: la mancanza di qualsiasi tipo di sostegno economico per i diaconi (quindi il non essere disponibili a tempo pieno) e una delle più forti motivazioni che spinge poi alcuni Superiori ad addossare al matrimonio le "colpe" del minore impegno donato dai diaconi e a loro richiesto.
Non è corretto creare una fittizia rivalità tra i due Sacramenti perché tra i due Sacramenti tale rivalità non esiste, come dimostrano i diaconi sposati e i preti sposati nell'ambito della Chiesa Cattolica (Riti Orientali), nella Chiesa Ortodossa e, mutatis mutandis, nella Chiesa Riformata.
I due Sacramenti non sono in concorrenza tra di loro. È possibile che una scelta escluda l'altra, ma nell'Ordine e nel Matrimonio la convivenza è possibile perché il celibato per i presbiteri nella Chiesa Romana e Ambrosiana è una prassi disciplinare, non teologica. L'incompatibilità esiste tra chi emette voti solenni di castità, povertà e obbedienza, ma questa consacrazione non è un Sacramento.
E non c'e neanche alcuna ragione di creare primazie o subordinazioni tra i Sacramenti dell'Ordine e del Matrimonio.

"Prima viene la famiglia, poi il lavoro, e solo dopo il ministero?". La vita di un ministro non può essere segmentata, parcellizzata e gerarchizzata in questo modo.
La vita diaconale sposata è una vita di diaconia di coppia [4]. Non può non essere così.
Tutti e due scelgono il loro comportamento e istintivamente lui e lei (e spesso anche i figli) sanno cosa viene prima, conoscono le precedenze senza suggerimenti o regole prefissate.
Noi diaconi uxorati viviamo una realtà sui generis, in senso letterale: di un genere e una specie propria che non è dei diaconi celibi, non è dei diaconi inseriti in un ordine religioso, che insomma, per un insieme di elementi attinenti alla vita del diacono stesso, del coniuge, dei figli, del lavoro, si comporta come l'espressione giuridica di: "combinato disposto" [5].
I due sacramenti, quindi, non si sommano, ma si fondono in noi in una nuova ed unica ontologia, che è quella del "diacono uxorato".
A questo si potrebbe aggiungere la possibilità di essere anche diaconi a tempo pieno e quindi retribuiti. Se in Italia questa situazione di vita diaconale è rara, in Germania e negli Stati Uniti sembra sia la normalità. Anche questo cambia, e di molto, il rapporto tra il diacono, la sua posizione nella Chiesa e la sua missione nel mondo.
Se anche in Italia vi fossero diaconi al servizio della Chiesa a tempo pieno, e quindi retribuiti, forse il mantra già citato: "quello che puoi, fai, se non puoi non sei obbligato", non avrebbe motivo di esistere, o comunque sarebbe molto più contenuto. Si passerebbe da un obbligo prevalentemente morale a un impegno contrattuale per lavoro e per mandato vescovile.
La realtà è che è difficile far convivere nella stessa struttura ecclesiale (di lavoro, di pastorale, di impegno di tempo) due realtà diverse come quella di un celibe e di uno sposato. Facilmente il celibe, chiamato a tempo pieno nella Chiesa, farà "di più" in termini di orario, quantità di lavoro, attenzione alle emergenze, e al coniugato con il lavoro esterno vengono lasciate le briciole di impegni che le persone "impegnate" a tempo pieno ritengono di non poter fare.
Ma se il Sacramento si basasse sulla quantità di impegno, allora sarebbe inutile ordinare persone sposate e non a tempo pieno. Eppure nel mondo orientale, cattolico ed ortodosso, il prete (e il diacono) sposati e retribuiti sono una realtà che non soffre di cattiva fama. Anzi, (e questa è esperienza anche dei pastori protestanti), il lavoro pastorale e liturgico, con il coniuge al fianco, può rivelarsi più accurato, meno frustante nei momenti di delusione e la reciproca attenzione sostiene la coppia anche nei momenti grigi.
Bisogna quindi "impegnare" il diacono sposato in maniera consona alla sua vocazione e al suo stato di marito, padre e lavoratore.
Un professionista, un funzionario, un artigiano, un lavoratore coscienzioso e attento ai principi evangelici, di mattina al lavoro con responsabilità ed impegno, non può essere messo il pomeriggio a fare il sacrista o solamente a intonare il Rosario per gli anziani. Per questo basta un laico di buona volontà. Anche l'utilizzo del diacono per coprire esigenze quasi esclusivamente liturgiche non è adatto. Se ci sono la Via Crucis o impegni devozionali di routine in Parrocchia, non si chiama il diacono per lasciare qualche ora libera al parroco, e comunque non lo si ordina per affidargli quasi esclusivamente cose di questo genere.

La tabella sopra riportata rende quindi evidente che, per nessuno dei gradi dell'Ordine esiste un unico modo, cioè un "modo tipico" di vivere l'ordinazione, ma vi sono diverse modalità che, con l'incrocio dei due sacramenti, è diventata per i diaconi permanenti la "mia-personale" vocazione ordinata che certamente sarà diversa da quella di un altro ordinato.
Il Sacramento dell'Ordine per un celibe non è la stessa cosa del Sacramento dato ad uomo sposato, così come per il presbitero diocesano il Sacramento dell'Ordine non presenta gli stessi stili di vita di un presbitero frate o di un monaco.
Il Sacramento è assolutamente lo stesso, la vita concreta della persona varia in maniera notevole.
Infatti, se la natura di colui che è ordinato è "ingaudiata" dal Sacramento del Matrimonio, la sua ricezione del Sacramento dell'Ordine è diversa dalla ricezione dello stesso Sacramento dell'Ordine da parte di un celibe.
Lo asserisce san Tommaso secondo il quale, "... la cosa ricevuta si trova nel soggetto ricevente in modo conforme alla natura del ricevente" [6], e questo è valido per tutti i gradi del Sacramento e per tutti i diversi stili di vita che è possibile e lecito assumere.
Se questo è vero per tutti e tre i gradi del Sacramento, per i diaconi si aggiunge anche l'esperienza del Sacramento del Matrimonio che arricchisce, in maniera del tutto originale nella Chiesa Cattolica Romana, l'esperienza quotidiana dei diaconi uxorati; essi portano, nella loro vita di fede, questo unicum che non può che arricchire la loro vita e quella delle Comunità a cui sono inviati, dimostrando con la loro stessa esistenza la grande bontà del Signore per il suo popolo, per questi Sacramenti che sono ambedue "...ordinati alla salvezza altrui. Se contribuiscono anche alla salvezza personale, questo avviene attraverso il servizio degli altri. Essi conferiscono una missione particolare nella Chiesa e servono all'edificazione del popolo di Dio" (Catechismo della Chiesa Cattolica al n. 1534).
Questa affermazione del CCC conferisce al diacono sposato un mandato per la "salvezza personale, che si colloca appieno in un proprio carisma, diverso da quello dei consacrati ma anch'esso testimonianza della comunione di Cristo con la Chiesa" [7].
Diventa necessario però che il Vescovo, nella preparazione dei candidati al diaconato, chiarisca che la vita diaconale di una persona sposata ha bisogno anche di tempi particolari da dedicare al servizio del ministero. Ci sono particolari attività lavorative che non permettono spazi di attività extra, il Vescovo valuterà attentamente se è il caso di ordinare queste persone.
Dopo l'ordinazione, il mandato sia chiaro anche per il carico temporale dell'impegno.
Penso sia necessario che sia il Vescovo sia l'ordinando sappiano a quale impegno si vada incontro e ognuno delle parti faccia le dovute valutazioni.
Si va comodamente in Paradiso anche da laici, non c'e bisogno di rifugiarsi in un Sacramento che prevede un impegno di cuore e di orologio. Il "servizio", che il diacono può dare alla comunità cristiana, impegna tempo ed energie.
È vero che i consacrati che sono malati o allettati con la loro preghiera sostengono l'attività dei fratelli operativi, perché proprio la preghiera è la prima forma di azione missionaria ed e anche la più importante, ma la malattia è un caso specifico e ben noto al Vescovo, tra l'altro non è la condizione abituale della gran maggioranza degli ordinati.
Ordinare persone giovani e indirizzarle in un campo di attività che poi non viene coltivato per mancanza di tempo richiede all'ordinario una valutazione previa sulla possibilità del candidato di poter assolvere ai doveri insiti al Sacramento dell'Ordine.

Carlo de Cesare, diacono, marzo 2017


Note:
[1] Papa Francesco, Milano 25 marzo 2017, incontro con il clero, risposta ad un diacono. E, poco prima: "All'interno del presbiteri o voi [diaconi] potete essere una voce autorevole per mostrare la tensione che c'è tra il dovere e il volere, le tensioni che si vivono all'interno della vita familiare".
[2] P. Mazzolari, La pieve sull'argine, EDB, Bologna 1978.
[3] Enzo Petrolino, L'esercizio della ministerialità del diacono nell'ordinamento generale del Messale romano, 2008 (E.P. è presidente della Comunità del Diaconato in Italia).
[4] Nessuna interferenza vi è qui con la diaconia femminile; qui parlo di "diaconia familiare o di coppia" in senso spirituale, senza alcun riferimento all'ordinazione delle donne. Quello è discorso completamente diverso, ancora tutto da valutare.
[5] Si tratta di norme che vanno a interagire tra di loro creando una nuova fattispecie che non e la somma delle categorie differenti ma presenta una propria specificità totalmente nuova.
[6] "Receptum est in recipiente per modum recipientis" (Summa, Q 84, A 1).
[7] Citazione tratta dalla vita di Osvaldo Piacentini, architetto e diacono uxorato a R. Emilia, della Comunità di don G. Dossetti.


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