I Domenica di Avvento (B)

Omelie - Il Vangelo della domenica
a cura di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio"
Comunità di preti della diocesi di Modena-Nonantola
Vita Pastorale (n. 11/2017)



ANNO B – 3 dicembre 2017
I Domenica di Avvento

Isaia 63,16b-17.19b;64,2-7
1Corinzi 1,3-9
Marco 13,33-37
(Visualizza i brani delle Letture)

"LO DICO A TUTTI: VEGLIATE"

In tutti i Vangeli si trovano alcune parti definite apocalittiche, un termine che a noi evoca disastri e distruzione, ma che in realtà indica una rivelazione, togliere un velo che lascia intravedere qualcosa, in modo da permettere una visione più chiara, uno sguardo più profondo, più disincantato. La parabola di questa domenica, siccome non annuncia disastri, non sembra appartenere a questo genere apocalittico. Eppure, fa parte proprio di uno di questi discorsi che annunciano le cose ultime, il fine e il senso della storia. La parabola, pur essendo molto breve, contiene per ben quattro volte un termine che nel Vangelo caratterizza questi discorsi: vegliate!

Vegliare è un'esortazione tipica di Gesù, un'idea che non esiste in tutta la cultura biblica precedente. In tante occasioni Gesù richiama i profeti; spesso, però, aggiunge qualcosa di originale, qualcosa che è tipicamente suo: una di queste aggiunte specifiche è, appunto, l'invito a vegliare. Vegliare significa restare svegli. Ma, in realtà, questo è un compito molto arduo: noi abbiamo bisogno di dormire, è innaturale restare svegli. Per poterlo fare, occorre una motivazione molto forte, molto seria.


L'esempio migliore è la veglia che si fa accanto a persone che hanno bisogno. Quando dobbiamo custodire una persona malata, oppure un neonato, dentro di noi scatta qualcosa che ci permette di dormire "con un occhio solo". Succede che il nostro corpo sviluppa la capacità di non spegnersi mai completamente, è come se restasse in attesa, apparentemente spento, ma pronto a riavviarsi al più piccolo movimento. Vegliare, dunque, significa resistere allo stordimento che il tempo, la stanchezza o gli eccessi della vita possono indurre, e questo per uno scopo importante. Quando il padrone comanda al portiere di vigilare, intende proprio questa idea di custodire, avere cura, essere attento.

Prima di tutto, siamo chiamati ad aver cura di noi stessi. L'uomo vigilante è capace di essere responsabile di se stesso, del proprio corpo, della propria condotta, del proprio ufficio: essere troppo grassi o troppo magri, troppo trasandati o troppo ricercati denota che qualcosa non funziona nella relazione con il nostro corpo; aspettare sempre che gli altri si comportino bene per primi denota una scarsa convinzione dei nostri valori e l'incapacità di mantenere una condotta adeguata; sottrarsi alla responsabilità che deriva dal proprio ruolo significa tradire sé stessi e le proprie scelte.

In secondo luogo, siamo chiamati ad aver cura degli altri. Nella comunità cristiana si è fratelli, cioè capaci di custodirsi a vicenda: occorre vigilare sulle relazioni, custodire le persone che ci sono affidate, occorre sapersi prendere la responsabilità sulle cose, aver cura di tutto. Sembrerebbe un impegno al di là delle nostre forze; in realtà, si tratta di usare al meglio le nostre facoltà umane: mantenersi lucidi, sviluppare una capacità critica, usare l'intelligenza... tutte facoltà che ciascuno di noi ha e che può accrescere attraverso l'ascolto attento della parola di Dio e nella condivisione con i fratelli.


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