III Domenica di Avvento (B)

Omelie - Il Vangelo della domenica
a cura di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio"
Comunità di preti della diocesi di Modena-Nonantola
Vita Pastorale (n. 11/2017)



ANNO B – 17 dicembre 2017
III Domenica di Avvento

Isaia 61,1-2.10-11
1Tessalonicesi 5,16-24
Giovanni 1,6-8.19-28
(Visualizza i brani delle Letture)

ESSERE VOCE PER LA PAROLA

Giovanni Battista è un uomo molto austero. Il suo abbigliamento è quello del profeta, la sua vita è sobria come quella di un monaco, le sue parole spesso sono molto dure. Vive nel deserto, lontano dalla confusione delle città, lontano dalla religiosità del Tempio, totalmente alieno da tutto ciò che rende facile e gioiosa la vita dell'uomo. Eppure, in questa terza domenica d'Avvento, dominata dal tema della gioia, il protagonista del racconto evangelico è proprio lui: l'uomo che non ride mai! È lui che inaugura i tempi messianici, tempi di gioia ed esultanza. Forse, un primo messaggio importante viene proprio da questa apparente contraddizione: la gioia non è spensieratezza o vacuità, ma un sentimento profondo di fiducia e sicurezza che permette di far trasparire nella propria vita serenità e benevolenza.

Nonostante la severità dell'aspetto e delle parole, Giovanni è una persona serena e benevola: è benevolo perché accoglie i peccatori e dà a tutti un messaggio di conversione, ed è sereno perché sicuro di sé, della propria identità e missione.

Non è solamente lui a essere sicuro della propria identità e missione ma anche tutto il popolo, perché nel Vangelo di Giovanni non c'è nessuna presentazione o descrizione del Battista: appare immediatamente in scena come un personaggio conosciuto, noto a tutti, alle autorità come alle folle. Era talmente famoso che molti erano sicuri che dovesse essere il Messia e, proprio per questo, lui si presenta dicendo prima di tutto chi non è.

Normalmente noi ci presentiamo in positivo: sono un prete, il parroco, oppure sono il dottore del paese... Spesso, però, il bisogno di mostrare titoli e credenziali nasce da una scarsa visione di sé stessi, cioè di un'identità debole, inconsistente. Più ci affidiamo a titoli e uniformi e meno siamo significativi e fecondi. Giovanni sa chi è e qual è il suo ruolo, non ha bisogno di affermare se stesso. E quando è costretto a farlo, lo fa dicendo: «Io sono voce», cioè dichiarando di essere relativo a qualcun altro. La voce, infatti, serve a trasmettere la Parola e, per quanto ci siano voci diverse, ciò che interessa è la Parola che viene pronunciata.


È Gesù il Messia, la Parola: Giovanni lo dirà in modo ancora più esplicito: «Lo sposo è colui al quale appartiene la sposa; ma l'amico dello sposo, che è presente e l'ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è piena. «Lui deve crescere; io, invece, diminuire» (Gv 3,29-30).

Diminuire non significa annullarsi, la Parola ha bisogno della voce per suscitare ascolto e interesse, la Verità ha bisogno di testimoni per essere creduta. Il testimone non è solo uno che ha assistito a un fatto, ma una persona capace di suscitare interesse su quel fatto. Essere testimoni di Gesù significa saper indicare la via dell'incontro con lui, un incontro che è libertà, vita, salvezza. E per questo è necessaria una profonda esperienza dello Spirito, un ascolto profondo che permette di conoscere se stessi, la realtà circostante, e soprattutto di conoscere Gesù, la Parola di cui possiamo essere voce. E così, forti della nostra identità, possiamo essere capaci di indicare la via dell'incontro con quel Gesù che è molto vicino a noi anzi, in mezzo a noi, sebbene spesso non siamo in grado di riconoscerlo.


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