VI Domenica di Pasqua (B)

Omelie - Il Vangelo della domenica
a cura di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio"
Comunità di preti della diocesi di Modena-Nonantola
Vita Pastorale (n. 5/2018)



ANNO B – 6 maggio 2018
VI Domenica di Pasqua

At 10,25-26-34-35.44-48
1Gv 4,7-10
Gv 15,9-17
(Visualizza i brani delle Letture)

L'AMICO RIAMNE NELL'AMORE

Un verbo si ripropone come un mantra nel capitolo 15 di Giovanni: rimanere. Che significa? E perché tanta insistenza? Noi portiamo nel cuore le parole e i volti di tante persone. Le loro parole risuonano in noi e la loro immagine ci accompagna. Non sempre, però, ciò è segno di libertà: il ricordo del torto fattomi da un altro, la sua immagine "odiosa'' che non mi dà pace, il suo giudizio come occhio indagatore che mi schiaccia... E lo stesso può avvenire nel rapporto con Dio: osservo i comandamenti, ma per paura; faccio tutto "bene", ma come l'ordine di un padrone che temo. Questo rimanere distrugge. Ecco perché il Vangelo non chiede solo di rimanere, ma di farlo nell'amore, cioè mantenendo viva l'immagine positiva dell'altro nel cuore. L'altro non è un nemico, Dio non è un nemico, ma uno a cui potersi aprire. Ogni giorno lottiamo contro la tentazione di ricostruire un muro. La sfida mai conclusa della nostra vita è consentire all'altro - e all'Altro - di rimanere dentro di noi nell'amore.
Questo è esattamente ciò che fa l'amico. Nel Vangelo di questa domenica due volte Gesù parla di amicizia. Dice: «Vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi»; e di contro: «Voi sarete miei amici, se farete ciò che io vi comando». Queste parole sembrano dire che comunicazione aperta e reciprocità sono i due cardini dell'amicizia, che permettono all'altro di rimanere in noi e viceversa. Su tali "cardini" possiamo fare due riflessioni ecclesiali.

Comunicare. Sappiamo che una forma molto subdola di dominio tra le persone è negare la parola, non far partecipe l'altro di ciò che si sa. Così è anche a livello ecclesiale: quanto è forte il rischio di costruire una comunicazione unidirezionale, dove l'altro deve solo obbedire, eseguendo una decisione già presa da altri! Succede spesso tra clero e laici, ira anche all'interno dei gruppi parrocchiali. Ugualmente distruttiva è la pratica di condividere le informazioni tra pochi, creando una spaccatura tra chi sa e chi non sa. Di fronte a queste tentazioni, il Vangelo ci chiede di far conoscere. Com'è la comunicazione nelle comunità? Aperta e multidirezionale, o riservata a pochi "eletti" e discendente?

Vivere la reciprocità. Non si è amici a senso unico. A volte, però, ci illudiamo di mantenere i legami, mentre nella realtà viviamo passivamente, senza investire alcunché nella relazione. Contro questa deriva, il Signore chiede ai discepoli una scelta precisa, fa una proposta che interpella la loro libertà e attende una risposta chiara. Essere amici è, dunque, una scelta. Lo stesso avviene in una comunità: non si può stare dentro "a traino"; occorre decidere di farsi coinvolgere e imparare a riconoscere in noi una parola unica da dire in comunità. Troppo spesso il nostro vivere ecclesiale è passivo, caratterizzato da un'adesione esteriore a celebrazioni o appuntamenti preparati da altri, che non mettono in discussione i nostri stili e per i quali il nostro contributo si riduce spesso all'offerta domenicale. Quand'è così, scadiamo da amici a semplici fruitori di un medesimo servizio. Ci possiamo chiedere: c'è reciprocità nelle nostre relazioni? Dove siamo chiamati a crescere come comunità?


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